Il primo versetto di genesi 35 viene utilizzato da Biglino, in particolare nelle conferenze per avvalere la tesi per cui la parola ELOHIM è un plurale riferito alla specie aliena degli ELOHIM. Questo è il suo commento: Nel versetto abbiamo Dio, scritto ELOHIM, quindi plurale, dire a Giacobbe di costruire un altare a Bethel al Dio, scritto EL, quindi al singolare, che ti è apparso. Quindi il gruppo degli ELOHIM ordina a Giacobbe di costruire un altare a quello di loro che si è fatto vedere. Nella traduzione italiana troviamo il termine “apparire”, ma questa è una invenzione teologica per dare un apparenza di trascendenza, in realtà è scritto semplicemente: “quello che si è fatto vedere”. Come prima cosa vediamo il versetto con la traduzione interlineare:
Dio disse a Giacobbe: “Àlzati, sali a Betel e abita là; costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi lontano da Esaù, tuo fratello”.
Secondo la spiegazione che da Biglino, la parola ELOHIM è plurale, ed EL è il singolare di ELOHIM. Per chi avesse letto con attenzione gli articoli precedenti si accorgerà facilmente che in questa spiegazione i conti non tornano. Oltre al fatto che tutti i dizionari sostengono che quando è riferito a YHWH è sempre singolare nonostante abbia un suffisso plurale; la sua forma che grammaticalmente corrisponde al singolare è ELOHA e non certamente EL. Quest’ultimo è un sinonimo di ELOHIM, la differenza che ELOHIM è la forma estesa ed EL la forma contratta o abbreviata, ma sono la stessa parola entrambi con valenza singolare. La forma plurale di EL non è ELOHIM ma è ELIM. Un elemento importante da prendere in considerazione è come sempre il contesto. Dio dice a Giacobbe di costruire un altare nel luogo dove è apparso un ELOHIM, quando è avvenuto questo episodio? In genesi 32. Giacobbe scappò dalla casa di Labano con mogli, figli servi e bestiame. Viene a sapere che non troppo lontano da lì c’è suo fratello Esaù insieme a una moltitudine di servi. Giacobbe è molto preoccupato, l’ultima volta che vide suo fratello lo voleva uccidere. La notte prima dell’incontro Giacobbe stette in un luogo nascosto e isolato e lottò con un uomo per tutta la notte.
Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: “Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora”. Giacobbe rispose: “Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!”. Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. Giacobbe allora gli chiese: “Svelami il tuo nome”. Gli rispose: “Perché mi chiedi il nome?”. E qui lo benedisse. (Genesi 32,26-30)
Il versetto 29, quello sottolineato rivela l’identità di colui che ha lottato con Giacobbe. Qui sotto la traduzione interlineare:
Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”. (Genesi 32,29)
Dalla traduzione interlineare possiamo vedere come quell’uomo si identifichi con ELOHIM, in questo caso riferito non a Dio YHWH, ma a un angelo. Nel capitolo sugli angeli vedremo che possono manifestarsi anche in forma umana. Altre interpretazioni lo identificano con il significato di “rappresentante di Dio”, quindi non un entità spirituale ma un profeta. Se la tesi di Biglino fosse veritiera in questo versetto avremo visto la parola EL che lui lo intende singolare, come troviamo in genesi 35 e non ELOHIM. Questo è un’altro elemento che confuta la tesi ufologica e conferma che ELOHIM di Genesi 32,29 e EL di Genesi 35,1 sono sinonimi.
IL NOME DI ISRAELE
L’episodio di genesi 32 è entrato nella tradizione come “la lotta di Giacobbe con l’Angelo”, una scena della Bibbia molto discussa e commentata e ogni tradizione religiosa ne dà una sua interpretazione alle domande che spontaneamente possono venire in mente leggendo il testo: Qual è il significato di questa lotta? Perché il cambiamento di nome? La narrazione ufologica non da risposte, ma a dire il vero, non si pone nemmeno una di queste domande, lasciando così delle evidenti lacune nella sua narrativa. Innanzitutto sappiamo che il significato del nome “Giacobbe” è “soppiantatore”, e non era solo di nome, ma anche di fatto, infatti «al momento del parto, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello (Genesi 25,26). Giacobbe era poi riuscito ad acquistare la primogenitura con l’inganno da suo fratello Esaù, e, sempre con l’inganno, era riuscito a carpire la benedizione che era destinata a Esaù da parte di suo padre Isacco. Giacobbe era quindi un peccatore. Ha passato tutta la sua vita a “lottare” con gli uomini per avere la meglio, prima con il fratello Esaù e poi con Labano. Però nel capitolo trentaduesimo si mostra che Giacobbe aveva avuto un cambio interiore, riconosce che è stato Dio a benedirlo nonostante fosse indegno e supplica Dio di aiutarlo all’incontro con Esaù in quanto c’è il serio pericolo che finisca in conflitto senza pietà per lui e la sua famiglia: vediamo (32,11-12): io sono indegno di tutta la bontà e di tutta la fedeltà che hai usato verso il tuo servo. Con il mio solo bastone avevo passato questo Giordano e ora sono arrivato al punto di formare due accampamenti. Salvami dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù, perchè io ho paura di lui: che egli non arrivi e colpisca me e, senza riguardi, madri e bambini!
Dio manda questo ELOHIM a lottare con Giacobbe per favorirgli una svolta spirituale. Giacobbe rimane zoppicante e allo stremo delle forze, ma chiede la benedizione. Non si riferisce a una benedizione materiale, in quanto era già ricco in abbondanza, ma qualcosa di più. L’uomo risponde con un cambiamento di nome, che a noi potrebbe sembrare banale, ma ha un significato profondo nella cultura ebraica, denota un cambiamento di destino e una nuova attitudine nei confronti della vita. Israele deriva da SARAH, שָׂרָה lottare, ma allo stesso tempo, in un’altra chiave di lettura deriva anche da SAR שַׂר che significa governare. Quindi da Giacobbe, il soppiantatore diventa Israele, colui che lotta ed e governato da Dio. Non è un evento isolato nelle Scritture, perché lo stesso succede – assieme ad altri tra cui anche Sara – ad Abramo (“non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham” Genesi 17,5) e, nel Nuovo Testamento, a Simone figlio di Giona, a cui Gesù pone il nome di “KEFA” “Roccia” (Matteo 16,18). anche in questo caso abbiamo un cambiamento di missione. L’angelo giustifica il cambiamento di nome con il fatto che ha lottato con gli uomini, e per questo abbiamo già la spiegazione, ma dice che ha lottato anche con Dio e ha vinto. Cosa significa? Non si riferisce affatto del combattimento fisico, di cui Giacobbe ne esce zoppicante e l’angelo completamente indenne. La risposta la troviamo in Osea 12,4-5: da adulto lottò con Dio, lottò con l’angelo e vinse, pianse e domandò grazia. La vittoria umana su Dio è la conversione e l’esperienza della sua misericordia. Lo troviamo anche nel commento in Sapienza 10,12: gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che più potente di tutto è la pietà. Paradossalmente con Dio si vince non quando lo contrasti, ma quando ti arrendi a lui, così come ha fatto Gesù arrendendosi alla volontà di Dio padre affinché vincesse con la resurrezione. Vediamo alla fine che l’uomo si rifiuta di dire il suo nome per evitare che l’attenzione vada su di lui, anziché al mandante, Dio stesso.