LA PASSIONE DI CRISTO

PREVISIONE DELLA SUA MORTE

Il senso della storia della passione e della morte di Gesù non è biografico, ma teologico e questo a partire dall’esperienza della Resurrezione. È una storia teologica: si compiono le Scritture profetiche. I fatti vengono visti e interpretati alla luce delle profezie. Questo è possibile a partire dalla Resurrezione. Così hanno scritto gli autori sacri e questa è stata la loro intenzione. Ciò si rende poi necessario a causa dell’esigenza di superare lo scandalo della croce, inammissibile per i Giudei. La Chiesa ha compreso e superato lo scandalo della croce proprio vedendo il legame tra Scrittura e Passione di Gesù. Da questa angolatura si nota come la croce sia un dramma trinitario: l’iniziativa non è di Gesù, ma è del Padre: è un dramma che parte dal Padre, ma Gesù lo affronta liberamente. La morte di Gesù in croce è salvezza perché rivela l’amore universale di Dio. In forza di questo amore salvifico, la croce è anche espiazione, sacrificio, soddisfazione: la croce è prima di tutto grazia, opera salvifica di Dio per noi e in noi, legata alla remissione dei peccati. L’evento della passione ha fatto della morte umana una situazione salvifica, il luogo della vicinanza con Cristo e con Dio (Fil 1,23). Tutta la vita di Gesù è legata al pensiero della morte violenta di croce. L’andare incontro alla morte rientra nella missione di Gesù: va liberamente, non passivamente. È il momento supremo della sua missione profetica: Gesù muore a causa della malvagità umana. Nel vangelo di Marco (Mc 8,31; 9,31; 10,32-34) si vede come Gesù sapeva quale sarebbe stata la sua morte e le sue tre profezie, che vi si riferiscono, scandiscono l’andare di Gesù verso la croce. Gesù vede la sua morte come martirio. È una morte violenta a cui Gesù va incontro liberamente, non costretto dalle vicende umane. Egli muore per i nostri peccati. Tutto rientra nel piano di Dio, cioè è il Padre che consegna il suo Figlio perché il mondo si salvi, ma gli uomini rifiutano e lo uccidono. Questa morte dura solo tre giorni. Questo non ha un significato cronologico, ma significa che Gesù non è rimasto prigioniero della morte. Gesù ha visto la sua morte come un passaggio alla vita piena e come trionfo sulla morte. L’ultima parola sarà la resurrezione.

L’ULTIMA CENA

Gesù vede la sua morte “l’Ora” che compie tutta la sua vita: è la glorificazione, il compimento del progetto del dono di sé sia al Padre che agli uomini (Gv 13,1: “…li amò sino alla fine”). Questo progetto è celebrato nell’ultima cena, la quale diventa il riassunto della vita di Gesù. Questo pasto è una sintesi cultuale che Gesù ha celebrato perché fosse memoria perenne per la sua comunità. In questo contesto ha preso corpo la narrazione della passione e della resurrezione e la Chiesa ha riletto i fatti storici in una cornice eucaristica riconoscendo il Signore sempre di più. Questo pasto è atto di culto e insieme pasto d’addio: si fondano insieme due tradizioni riportate dai sinottici, quella cultuale, cioè del banchetto di ringraziamento, e quella testamentaria in cui si sottolinea il legame tra i partecipanti. La tradizione cultuale sottolinea di più l’aspetto liturgico mentre la tradizione testamentaria sottolinea di più l’aspetto esistenziale del progetto di vita di Gesù come donazione; così culto ed esistenza si fondono. In sintesi, possiamo dire che la cena celebrata da Gesù e continuata nella prassi ecclesiale è la celebrazione del dono di vita che viene partecipato ai suoi discepoli perché essi lo traducano in esistenza. Si capiscono così i vari racconti dell’ultima cena dei sinottici e la lavanda dei piedi che sostituisce la cena in Giovanni (per Giovanni il discorso eucaristico è messo nel capitolo 6). – 2 – La frazione del pane e il calice di ringraziamento sono ora accompagnati da nuove parole dette da Gesù: è un’alleanza nuova, una partecipazione e comunione nella persona di Gesù al dono stesso della sua vita. È un dono di vita da cui consegue anche la remissione dei peccati. “Questo è il mio corpo” esprime infatti la donazione del Cristo. La redenzione nel sangue versato, che si è invitati a bere, vuol indicare quel dono di vita che ci viene attraverso il sangue e dove arriva c’è purificazione dal peccato. Gesù fa dono di sé nel proprio sangue come forza vivificante che ci libera dalla morte; in questo senso rimette i peccati. Non è prezzo pagato per soddisfare Dio, ma è l’espressione dell’amore infinito di Cristo e del dono della vita del Padre in Cristo. È il dono d’amore che è anche fonte di espiazione: prima di essere remissione del peccato, è dono della vita nello Spirito. La priorità è l’alleanza nuova, l’alleanza della vita. Gesù non chiede ai discepoli di fare aspersione con il suo sangue, come con il sangue delle vittime, ma di bere il calice. Ora, il sangue si beve non per purificarsi, ma per nutrirsi e vivere più intensamente. Il sangue di Gesù è bevanda come il suo corpo è nutrimento. Il pasto è vissuto come testamento di Gesù ed è l’invito a continuare questa celebrazione nella vita. L’eucarestia è annuncio escatologico del banchetto celeste. Gesù vede la sua morte come dono d’amore attraverso la condivisione del pane e del calice. Pertanto lo schema espiazione-sacrificio antico è superato in quanto la morte di Cristo si fa dono e principio di vita e quindi di espiazione. L’eucarestia e la croce hanno valore espiatorio, sacrificale, ma ciò è compreso nel dono libero e supremo del dono di vita di Gesù. Possiamo dire che la cena di Gesù ha un valore cultuale che la croce attualizza in modo esistenziale: la croce adempie l’eucarestia e l’eucarestia completa la croce.

IL GETSEMANI

L’episodio del Getsemani è importante perché è preludio e anticipo della croce, presenta l’aspetto drammatico della croce coinvolgendo non solo la persona di Gesù ma anche il Padre e i discepoli. Qui si uniscono due elementi: quello dell’angoscia e della preghiera al Padre. L’angoscia è l’espressione del dolore stesso di Dio: il Dio in Gesù è così vicino all’uomo che soffre lui stesso. Sembra poco probabile che Gesù avesse paura della morte, ma la sua angoscia nasce dall’amore per gli uomini che rifiutano la sua offerta. È il modello della vita del profeta. È una angoscia per gli altri, segno dell’infinita carità di Dio verso gli uomini. L’amore sembra essere la causa dell’angoscia. In questo contesto si può leggere bene la preghiera di Gesù in Mc 14,36. La richiesta di Gesù di allontanare il calice può esser visto non come un rifiuto di Gesù, in quanto Egli vuole ciò che il Padre vuole, ma un invito perché il giudizio sul popolo non sia di condanna a causa del rifiuto della salvezza

IL PROCESSO

Il processo sottolinea la dimensione pubblica, sociale e storica dell’evento della croce. Il processo diventa il luogo della più alta auto-affermazione divina di Gesù: la verità è data dal ribaltamento dei fatti. Pilato fa sedere Gesù sulla sedia del magistrato (Litostroto, in ebraico Gabbatà); Gesù è il vero giudice dei pagani e dei giudei. Ci sono due fasi del processo di Gesù: una giudaica e una romana:

La fase giudaica, molto presente nei sinottici, tratta del processo nel Sinedrio. I sinottici mettono in evidenza questo primo processo perché sono preoccupati di mostrare che la radice della condanna viene dai Giudei.

La fase romana si svolge davanti all’autorità romana. Il dialogo avviene tra Gesù e Pilato. Ciò è fortemente sottolineato in Giovanni. Gesù dice parole forti: “Sono venuto a rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37), Cristo è il rivelatore per eccellenza del Padre. Così sono forti le scene plastiche dell’insediamento di Gesù presentato come re e Figlio dell’uomo, quindi giudice universale.

Possiamo dire che la prima parte del processo si chiude con la presentazione di Gesù come Messia divino, mentre la seconda, di Gesù come re.

CROCIFISSIONE E MORTE

Gesù muore liberamente e per amore dell’umanità. Avrebbe potuto chiamare una legione di angeli per toglierlo da quella situazione, ma si è abbandonato al piano del Padre, che è redenzione per l’umanità. Nel racconto della morte è fortemente presente il silenzio di Dio. Questo silenzio diventa presenza: si va a Dio non per ciò che dona, ma per ciò che è. Non rimane così nient’altro se non la fiducia, che diventa presenza. È il dramma del giusto che soffre.

Cosa accompagna la morte di Gesù:

Segni cosmici come le tenebre, il velo del tempio squarciato (per Mt anche terremoto, sepolcri aperti e resurrezione di molti defunti): l’era nuova nasce sotto il segno della croce. La nuova apocalittica è caratterizzata dalla fuga delle tenebre, dal perdono e dal paradiso (vedi Lc). Quindi la croce è un evento salvifico, che si manifesta nell’amore.

Dal grido: non un grido di protesta, ma di fiducia. Gesù ha vissuto il dramma del giusto nei confronti del Padre. Il Salmo 21 citato da Gesù interpreta il suo grido di angoscia, di confidenza e di lode.

Dalla conversione del centurione (con la proclamazione del centurione “quest’uomo era Figlio di Dio” Marco rimanda all’inizio del vangelo dove sta scritto: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”). La morte di Gesù provoca conversione, cioè presenza di Dio. Tutto ciò mostra che il morire di Gesù è solenne, non è il morire di un disperato. Gesù si rivela Figlio di Dio

Nel vangelo di Giovanni manca l’abbandono e la sua morte è ricca di simboli. Sembra essere il racconto più fedele al dato storico. Qui Gesù è visto come re. Sulla stessa croce vi è l’iscrizione che reca il titolo di Gesù re dei giudei in tre lingue: egli è il re universale. La sua tunica non viene divisa, segno dell’unità del popolo stesso, della Chiesa. Sotto la croce troviamo Maria e Giovanni: vi è una vicinanza teologica. Giovanni è segno di tutti i discepoli e Maria è chiamata donna, un titolo ecclesiologico, madre della Chiesa. Vi è una nuova maternità espressa dalla figura di Maria. La morte di Gesù è un dare lo Spirito come la sua richiesta: ho sete. Ciò ricorda il colloquio con la Samaritana, l’acqua viva che Gesù dona. La lancia nel petto di Gesù fa scaturire acqua e sangue, segno della nuova economia della salvezza, dello Spirito e del sacrificio dell’agnello. Gesù è il nuovo agnello che viene immolato in sostituzione a quello che viene immolato nel tempio: il nuovo sacrificio è sostituito con quello di Gesù. Infatti non gli viene spezzato nessun osso come dice la Scrittura. Gesù diventa il nuovo Tempio e da lui nasce la Chiesa, mediatrice di salvezza, suo sacramento

La croce risulta essere possibile in quanto c’è la Trinità: la croce è infatti la manifestazione dell’amore trinitario. Solo un Dio trinitario, cioè in dialogo di amore continuo, fecondo ed inesauribile, può dar ragione di una incarnazione e giungere fino alla kenosi (kenosis è un termine greco e significa autosvuotamento, smarrimento di se stesso), allo spogliamento totale in favore degli uomini. Il fondamento è sempre l’amore trinitario. Anche il Concilio Vaticano II parlando della croce ne parla collegata alla resurrezione in forza dell’amore trinitario e non solo come espiazione, sacrificio o altro. È in questa ottica di donazione pura e gratuita che avviene il perdono dei peccati.

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