LA RESURREZIONE DI CRISTO

La resurrezione è il punto di partenza di ogni considerazione di fede ed è la luce che illumina i fatti in modo retrospettivo ed escatologico. Sempre si deve partire dall’evento resurrezione per capire il vangelo, la Chiesa, l’economia della salvezza e lo stesso volto di Dio. Il problema della storicità della resurrezione è uno dei più dibattuti. La resurrezione è un evento reale, oggettivo compiutosi in Gesù di Nazareth. Essa non è solo nella fede o nella predicazione, è reale. Non è però come la resurrezione di Lazzaro, cioè dentro la storia; la resurrezione di Gesù è dentro la storia, ma la supera e la trascende: è metastorica, cioè è un evento escatologico. È una resurrezione gloriosa. È un avvenimento della fine della storia anticipato, presente ed operante già ora attraverso la testimonianza dei discepoli, della Chiesa apostolica e la potenza dello Spirito che viene dal Risorto e accompagna la testimonianza. La resurrezione è storicamente conoscibile attraverso i segni che Gesù ci ha lasciato: la testimonianza di coloro che lo hanno visto risorto e il sepolcro vuoto. Attraverso la fede, la resurrezione si fa operante e visibile nella storia. A sua volta, la resurrezione è un evento che fonda la fede. Nei vangeli troviamo la testimonianza di coloro che lo hanno visto dopo la resurrezione (nessuno è stato testimone della resurrezione!) e la notizia del sepolcro vuoto testimoniata dagli stessi Giudei (vedi Mt). La fede nella resurrezione però non nasce dalla tomba vuota, ma dagli incontri con il Risorto, che illuminano la tomba vuota. I racconti della resurrezione sono i dati più antichi e più importanti. Infatti nel “credo” in 1Cor 15,1-3, Paolo dice che il Risorto “apparve”, non menziona il sepolcro vuoto, ma solo l’apparizione del Risorto.

LE APPARTIZIONI DI CRISTO RISORTO

Le apparizioni hanno queste caratterizzate:

L’INIZIATIVA DEL RISORTO

 Il risorto appare a persone che non attendevano tale manifestazione, ma vivevano in uno stato di delusione. Il risorto si fa presente quasi come un fulmine a ciel sereno.

I TESTIMONI OCULARI

Il testimone è scelto, non è un’esperienza mistica frutto di rapporti interiorizzati. È un Cristo che si mostra, non è subito facilmente riconoscibile e il testimone subisce la sua azione.

GESTI FAMIGLIARI

 Nelle manifestazioni appare la familiarità tipica di Gesù con i suoi, per i quali il vedere e il toccare risultano fondamentali. Quindi, per conoscere il risorto è necessario essere stati con lui e aver creduto a lui prima della sua morte.

LA PAROLA DI CRISTO

 Spesso Gesù è riconosciuto quando parla e quando compie gesti significativi come lo spezzare il pane (Lc 24,13-35: discepoli di Emmaus). Quindi si può dire che la prassi eucaristica così come è stata fondamentale per i discepoli, lo è per la Chiesa in cui continua ad essere vissuta.

APPARIZIONI MEDIANTE LO SPIRITO DEL CENACOLO

 Qui appare il tema della missione: esso è strettamente collegato con la resurrezione. Essere testimone della resurrezione vuole dire vita trasformata.

Infatti una nota caratteristica delle apparizioni è il coinvolgimento delle persone. L’esperienza del risorto e la testimonianza sono un’unica cosa: incontrare il risorto significa essere inviati. Esiste un legame tra apparizione, esperienza del risorto e missione. La resurrezione è un preludio della finale ricapitolazione che avverrà con la parusia (la seconda venuta di Gesù). Il tempo che intercorre è colmato dal tempo della Chiesa e della missione nello Spirito. La Pentecoste è il tempo attuale, la continuazione della resurrezione, l’edificazione della Chiesa, l’instaurazione del Regno di Dio fino a che egli non tornerà nuovamente e definitivamente con nuova terra e nuovi cieli.

LA TOMBA VUOTA

Il dato della tomba vuota è una notizia tardiva. La tradizione sinottica parla dell’andata al sepolcro delle donne e della presenza di figure angeliche, mentre in Giovanni abbiamo l’ispezione accurata della tomba vuota. Il sepolcro vuoto è simbolo di vita ed è aperto alla constatazione di tutti. Un altro elemento importante è anche la descrizione del sepolcro vuoto: “bende giacenti”. Gli esegeti parlano di bende giacenti con ordine, cioè svuotate al oro interno: se il corpo fosse stato rubato, non si spiegherebbe l’ordine delle bende. Vi sono poi elementi che mostrano come il sepolcro vuoto sia una notizia storica e non costruita in chiave apologetica: il rubare un morto (ciò non è sostenibile dalla cultura giudaica); l’introdurre un essere celeste (questo non serve per certificare una teoria); la testimonianza delle donne, che nessuno nel mondo giudaico poteva accogliere come vera (proprio perché ad opera di donne). La resurrezione è un evento trinitario e non solo un evento oggettivo. La resurrezione assieme alla croce manifesta il mistero trinitario. La formula più antica, così anche la predicazione di Paolo, mettono in risalto l’azione del Padre, che ha risuscitato Gesù (Atti). La resurrezione, però, è anche un evento del Figlio dell’Uomo, che risusciterà (Mc 8,31; Gv 10,18). Ma è anche un evento dello Spirito: lo Spirito è colui, attraverso il quale il Padre risusciterà anche noi come ha fatto con Gesù (cfr. Rm 8,11). Inoltre, la resurrezione è un evento escatologico salvifico. Gesù è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e non ha subito la corruzione tipica dei morti. Sono avvenimenti non solo cronologici, ma salvifici. È importante affermare che con la resurrezione al terzo giorno, si inaugura un’era salvifica. Cristo è risorto per la nostra salvezza (Rm 4,25): la resurrezione è un evento salvifico per eccellenza, per mezzo del quale l’uomo viene divinizzato e giustificato.

LA PASSIONE DI CRISTO

PREVISIONE DELLA SUA MORTE

Il senso della storia della passione e della morte di Gesù non è biografico, ma teologico e questo a partire dall’esperienza della Resurrezione. È una storia teologica: si compiono le Scritture profetiche. I fatti vengono visti e interpretati alla luce delle profezie. Questo è possibile a partire dalla Resurrezione. Così hanno scritto gli autori sacri e questa è stata la loro intenzione. Ciò si rende poi necessario a causa dell’esigenza di superare lo scandalo della croce, inammissibile per i Giudei. La Chiesa ha compreso e superato lo scandalo della croce proprio vedendo il legame tra Scrittura e Passione di Gesù. Da questa angolatura si nota come la croce sia un dramma trinitario: l’iniziativa non è di Gesù, ma è del Padre: è un dramma che parte dal Padre, ma Gesù lo affronta liberamente. La morte di Gesù in croce è salvezza perché rivela l’amore universale di Dio. In forza di questo amore salvifico, la croce è anche espiazione, sacrificio, soddisfazione: la croce è prima di tutto grazia, opera salvifica di Dio per noi e in noi, legata alla remissione dei peccati. L’evento della passione ha fatto della morte umana una situazione salvifica, il luogo della vicinanza con Cristo e con Dio (Fil 1,23). Tutta la vita di Gesù è legata al pensiero della morte violenta di croce. L’andare incontro alla morte rientra nella missione di Gesù: va liberamente, non passivamente. È il momento supremo della sua missione profetica: Gesù muore a causa della malvagità umana. Nel vangelo di Marco (Mc 8,31; 9,31; 10,32-34) si vede come Gesù sapeva quale sarebbe stata la sua morte e le sue tre profezie, che vi si riferiscono, scandiscono l’andare di Gesù verso la croce. Gesù vede la sua morte come martirio. È una morte violenta a cui Gesù va incontro liberamente, non costretto dalle vicende umane. Egli muore per i nostri peccati. Tutto rientra nel piano di Dio, cioè è il Padre che consegna il suo Figlio perché il mondo si salvi, ma gli uomini rifiutano e lo uccidono. Questa morte dura solo tre giorni. Questo non ha un significato cronologico, ma significa che Gesù non è rimasto prigioniero della morte. Gesù ha visto la sua morte come un passaggio alla vita piena e come trionfo sulla morte. L’ultima parola sarà la resurrezione.

L’ULTIMA CENA

Gesù vede la sua morte “l’Ora” che compie tutta la sua vita: è la glorificazione, il compimento del progetto del dono di sé sia al Padre che agli uomini (Gv 13,1: “…li amò sino alla fine”). Questo progetto è celebrato nell’ultima cena, la quale diventa il riassunto della vita di Gesù. Questo pasto è una sintesi cultuale che Gesù ha celebrato perché fosse memoria perenne per la sua comunità. In questo contesto ha preso corpo la narrazione della passione e della resurrezione e la Chiesa ha riletto i fatti storici in una cornice eucaristica riconoscendo il Signore sempre di più. Questo pasto è atto di culto e insieme pasto d’addio: si fondano insieme due tradizioni riportate dai sinottici, quella cultuale, cioè del banchetto di ringraziamento, e quella testamentaria in cui si sottolinea il legame tra i partecipanti. La tradizione cultuale sottolinea di più l’aspetto liturgico mentre la tradizione testamentaria sottolinea di più l’aspetto esistenziale del progetto di vita di Gesù come donazione; così culto ed esistenza si fondono. In sintesi, possiamo dire che la cena celebrata da Gesù e continuata nella prassi ecclesiale è la celebrazione del dono di vita che viene partecipato ai suoi discepoli perché essi lo traducano in esistenza. Si capiscono così i vari racconti dell’ultima cena dei sinottici e la lavanda dei piedi che sostituisce la cena in Giovanni (per Giovanni il discorso eucaristico è messo nel capitolo 6). – 2 – La frazione del pane e il calice di ringraziamento sono ora accompagnati da nuove parole dette da Gesù: è un’alleanza nuova, una partecipazione e comunione nella persona di Gesù al dono stesso della sua vita. È un dono di vita da cui consegue anche la remissione dei peccati. “Questo è il mio corpo” esprime infatti la donazione del Cristo. La redenzione nel sangue versato, che si è invitati a bere, vuol indicare quel dono di vita che ci viene attraverso il sangue e dove arriva c’è purificazione dal peccato. Gesù fa dono di sé nel proprio sangue come forza vivificante che ci libera dalla morte; in questo senso rimette i peccati. Non è prezzo pagato per soddisfare Dio, ma è l’espressione dell’amore infinito di Cristo e del dono della vita del Padre in Cristo. È il dono d’amore che è anche fonte di espiazione: prima di essere remissione del peccato, è dono della vita nello Spirito. La priorità è l’alleanza nuova, l’alleanza della vita. Gesù non chiede ai discepoli di fare aspersione con il suo sangue, come con il sangue delle vittime, ma di bere il calice. Ora, il sangue si beve non per purificarsi, ma per nutrirsi e vivere più intensamente. Il sangue di Gesù è bevanda come il suo corpo è nutrimento. Il pasto è vissuto come testamento di Gesù ed è l’invito a continuare questa celebrazione nella vita. L’eucarestia è annuncio escatologico del banchetto celeste. Gesù vede la sua morte come dono d’amore attraverso la condivisione del pane e del calice. Pertanto lo schema espiazione-sacrificio antico è superato in quanto la morte di Cristo si fa dono e principio di vita e quindi di espiazione. L’eucarestia e la croce hanno valore espiatorio, sacrificale, ma ciò è compreso nel dono libero e supremo del dono di vita di Gesù. Possiamo dire che la cena di Gesù ha un valore cultuale che la croce attualizza in modo esistenziale: la croce adempie l’eucarestia e l’eucarestia completa la croce.

IL GETSEMANI

L’episodio del Getsemani è importante perché è preludio e anticipo della croce, presenta l’aspetto drammatico della croce coinvolgendo non solo la persona di Gesù ma anche il Padre e i discepoli. Qui si uniscono due elementi: quello dell’angoscia e della preghiera al Padre. L’angoscia è l’espressione del dolore stesso di Dio: il Dio in Gesù è così vicino all’uomo che soffre lui stesso. Sembra poco probabile che Gesù avesse paura della morte, ma la sua angoscia nasce dall’amore per gli uomini che rifiutano la sua offerta. È il modello della vita del profeta. È una angoscia per gli altri, segno dell’infinita carità di Dio verso gli uomini. L’amore sembra essere la causa dell’angoscia. In questo contesto si può leggere bene la preghiera di Gesù in Mc 14,36. La richiesta di Gesù di allontanare il calice può esser visto non come un rifiuto di Gesù, in quanto Egli vuole ciò che il Padre vuole, ma un invito perché il giudizio sul popolo non sia di condanna a causa del rifiuto della salvezza

IL PROCESSO

Il processo sottolinea la dimensione pubblica, sociale e storica dell’evento della croce. Il processo diventa il luogo della più alta auto-affermazione divina di Gesù: la verità è data dal ribaltamento dei fatti. Pilato fa sedere Gesù sulla sedia del magistrato (Litostroto, in ebraico Gabbatà); Gesù è il vero giudice dei pagani e dei giudei. Ci sono due fasi del processo di Gesù: una giudaica e una romana:

La fase giudaica, molto presente nei sinottici, tratta del processo nel Sinedrio. I sinottici mettono in evidenza questo primo processo perché sono preoccupati di mostrare che la radice della condanna viene dai Giudei.

La fase romana si svolge davanti all’autorità romana. Il dialogo avviene tra Gesù e Pilato. Ciò è fortemente sottolineato in Giovanni. Gesù dice parole forti: “Sono venuto a rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37), Cristo è il rivelatore per eccellenza del Padre. Così sono forti le scene plastiche dell’insediamento di Gesù presentato come re e Figlio dell’uomo, quindi giudice universale.

Possiamo dire che la prima parte del processo si chiude con la presentazione di Gesù come Messia divino, mentre la seconda, di Gesù come re.

CROCIFISSIONE E MORTE

Gesù muore liberamente e per amore dell’umanità. Avrebbe potuto chiamare una legione di angeli per toglierlo da quella situazione, ma si è abbandonato al piano del Padre, che è redenzione per l’umanità. Nel racconto della morte è fortemente presente il silenzio di Dio. Questo silenzio diventa presenza: si va a Dio non per ciò che dona, ma per ciò che è. Non rimane così nient’altro se non la fiducia, che diventa presenza. È il dramma del giusto che soffre.

Cosa accompagna la morte di Gesù:

Segni cosmici come le tenebre, il velo del tempio squarciato (per Mt anche terremoto, sepolcri aperti e resurrezione di molti defunti): l’era nuova nasce sotto il segno della croce. La nuova apocalittica è caratterizzata dalla fuga delle tenebre, dal perdono e dal paradiso (vedi Lc). Quindi la croce è un evento salvifico, che si manifesta nell’amore.

Dal grido: non un grido di protesta, ma di fiducia. Gesù ha vissuto il dramma del giusto nei confronti del Padre. Il Salmo 21 citato da Gesù interpreta il suo grido di angoscia, di confidenza e di lode.

Dalla conversione del centurione (con la proclamazione del centurione “quest’uomo era Figlio di Dio” Marco rimanda all’inizio del vangelo dove sta scritto: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”). La morte di Gesù provoca conversione, cioè presenza di Dio. Tutto ciò mostra che il morire di Gesù è solenne, non è il morire di un disperato. Gesù si rivela Figlio di Dio

Nel vangelo di Giovanni manca l’abbandono e la sua morte è ricca di simboli. Sembra essere il racconto più fedele al dato storico. Qui Gesù è visto come re. Sulla stessa croce vi è l’iscrizione che reca il titolo di Gesù re dei giudei in tre lingue: egli è il re universale. La sua tunica non viene divisa, segno dell’unità del popolo stesso, della Chiesa. Sotto la croce troviamo Maria e Giovanni: vi è una vicinanza teologica. Giovanni è segno di tutti i discepoli e Maria è chiamata donna, un titolo ecclesiologico, madre della Chiesa. Vi è una nuova maternità espressa dalla figura di Maria. La morte di Gesù è un dare lo Spirito come la sua richiesta: ho sete. Ciò ricorda il colloquio con la Samaritana, l’acqua viva che Gesù dona. La lancia nel petto di Gesù fa scaturire acqua e sangue, segno della nuova economia della salvezza, dello Spirito e del sacrificio dell’agnello. Gesù è il nuovo agnello che viene immolato in sostituzione a quello che viene immolato nel tempio: il nuovo sacrificio è sostituito con quello di Gesù. Infatti non gli viene spezzato nessun osso come dice la Scrittura. Gesù diventa il nuovo Tempio e da lui nasce la Chiesa, mediatrice di salvezza, suo sacramento

La croce risulta essere possibile in quanto c’è la Trinità: la croce è infatti la manifestazione dell’amore trinitario. Solo un Dio trinitario, cioè in dialogo di amore continuo, fecondo ed inesauribile, può dar ragione di una incarnazione e giungere fino alla kenosi (kenosis è un termine greco e significa autosvuotamento, smarrimento di se stesso), allo spogliamento totale in favore degli uomini. Il fondamento è sempre l’amore trinitario. Anche il Concilio Vaticano II parlando della croce ne parla collegata alla resurrezione in forza dell’amore trinitario e non solo come espiazione, sacrificio o altro. È in questa ottica di donazione pura e gratuita che avviene il perdono dei peccati.

CONDIZIONI PER APPARTENERE AL REGNO DI DIO

Gli evangelisti Matteo e Luca riassumono i principali insegnamenti di Gesù nei quali sono presenti le indicazioni per poter appartenere al Regno dei Cieli. È la parte conosciuta come “il discorso della montagna” (Mt 5-7 e Lc 6) che possiamo dividere in due parti: per chi è il Regno di Dio e la sua legge fondamentale

A CHI APPARTINE IL REGNO

Le beatitudini mostrano con chiarezza la logica del Regno: la fiducia in Dio. Il cammino verso la felicità va al di là di una semplice vita onesta e tranquilla, ma deve seguire alcune vie preferenziali: il cambio interiore, il cambio della vita sociale e la disponibilità a lavorare per il Regno. È la scala dei valori evangelici, in cui la forza consiste essenzialmente nel dare la vita e nel giudicare la nostra esistenza dall’atteggiamento interiore. Le beatitudini sono nello stesso tempo una promessa di restaurazione per coloro che al presente soffrono: la vera ricompensa è nel Signore. È l’invito alla speranza e un incoraggiamento a perseverare nell’abbandono confidente in Dio. È dalle beatitudini che nello stesso tempo ci appare il volto di un Dio diverso: non altero e lontano, ma caldo, pieno di tenerezza per ogni sua creatura, pronto a sostenere coloro che sono gli ultimi.

Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.

Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

MT 5,3-12

Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

LC 6,17-26

Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”.

L 11,28

LE LEGGI DEL REGNO

La legge del Regno, di conseguenza, non può non essere se non quella dell’amore (Mt 22,34-40). Essa è duplice: amare Dio e amare l’uomo. Essa è ben descritta dalla parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37).

  • Amare Dio

Nessun uomo avrebbe avuto il coraggio di chiamare Dio, Padre; non solo, ma neanche di potersi relazionare con lui, come un figlio fa con il suo padre. Gesù ci insegna una nuova relazione di amore e di fiducia con Dio. La preghiera del Padre nostro sulla bocca di Gesù diventa il modello di relazione per ogni discepolo: Dio diventa “Abbà”. È la novità che Gesù ci ha rivelato e che lo Spirito Santo rende attuale in noi liberandoci da ogni spirito di condanna e di paura.

  • Amare l’uomo

Amare l’uomo è amare il prossimo, cioè colui che è vicino. L’amore verso Dio si concretizza in una attenzione reciproca fra esseri umani. Questo diventa la nota caratteristica di riconoscimento dei discepoli: amarsi gli uni gli altri (Gv 13,34-35). L’amore diventa così la nota caratteristica della fede cristiana. È l’amore che scende gratuitamente dal Padre e crea legami fraterni tra i discepoli di Gesù. È lo Spirito di Gesù, che, effuso in noi, ci fa partecipi del rapporto filiale di Gesù con il Padre. Per questo anche noi possiamo vivere e dire: “Padre nostro”.

I MIRACOLI

Non si può presentare la dottrina di Gesù senza parlare allo stesso tempo dei suoi miracoli. Per Gesù “parola” e “fatto” vanno sempre uniti. Entrambi manifestano il Regno di Dio che è iniziato. “Parola” e “fatto” mostrano l’efficacia del segno che è Gesù stesso. Così come allora, anche oggi vige la stessa regola: per essere segno efficace la nostra parola deve essere unita al fatto che l’attualizza e la rende credibile. Il miracolo o il segno è quell’avvenimento straordinario attraverso il quale Dio manifesta in modo particolare la sua presenza in mezzo a noi e la sua azione salvifica in nostro favore. Il miracolo si distingue dalla magia in quanto con quest’ultima si cerca di manipolare una forza spirituale occulta, mentre nel miracolo è Dio che agisce nella sua libertà in un contesto di fede e di amore verso l’umanità. I miracoli sono anche il segno della credibilità del messaggio del Regno annunciato da Gesù, dimostra che quando Gesù parla, avviene esattamente quello che ha pronunciato, e di conseguenza questo vale anche perdona i peccati. Isaia profetizzò che il messia avrebbe compiuto miracoli (Is 26,19; 29,18ss; 35,5ss; 61,1) e le opere di Gesù sono l’adempimento di queste profezie che attestano che è lui il Messia, infatti quando i discepoli di Giovani Battista vanno da Gesù per capire chi è, lui risponde: Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me (Mt 11,4-6), non c’è altro da aggiungere, basta anche solo questo affinché le persone all’epoca capissero chi è Gesù.  Sono i miracoli a far accrescere notevolmente e rapidamente la popolarità di Gesù, in alcuni racconti c’erano moltitudini di persone che lo seguivano, come i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Nella vasta moltitudine non tutti erano veramente interessati al Regno di Dio, ma c’era solo il fascino di assistere ai miracoli e insieme la speranza di riceverne un giorno. Per questo motivo che Gesù per distinguere che vuole veramente seguirlo dice questo: chi mi vuole seguire rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà (Matteo 10,38-39).  La grande popolarità di Gesù fece anche suscitare l’invidia dei religiosi che fecero di tutto per contrastarlo, ma non riuscirono in alcun modo negare i miracoli, o a dimostrare che erano solo frutto di illusionismo, anche loro furono costretti a confermarli. Per infangare Gesù si sono dovuti inventare l’assurdità che le guarigioni erano frutto del demonio.

GLI INSEGNAMENTI TRAMITE I MIRACOLI

Il vangelo non ci narra tutti i miracoli di Gesù (cfr. Gv 20,30; 21,25). A volte gli evangelisti si limitano a menzionarli in termini generici (ad esempio Mc 1,34 e Mt 9,35), mentre altre volte li descrivono con lo scopo di veicolare degli insegnamenti morali, vediamone alcuni:

  1. La bontà e la misericordia di Dio
  2. La sua potenza senza limiti
  3. La totale supremazia sul regno delle tenebre
  4. Per ottenerlo bisogna chiederlo, quindi essere in comunione con lui
  5. Per ottenerlo bisogna avere fede
  6. Se si ottiene bisogna riconoscerlo e ringraziarlo
  7. Dio può adempiere ai bisogni dell’uomo

I 4 TIPI DI MIRACOLI

ESORCISMI:

Gli indemoniati di Gerasa MT 8,28-33. MC 5,1-20. LC 8,26-39

L’indemoniato muto 9,32-34

Gli spiriti impuri MT 12,43-45

Esorcismo di un ragazzo epilettico MT 17,14-20. MC 9,14-29. LC 9,37-43

Esorcismo a Cafàrnao MC 1,21-28. MC 1,32-34. LC 4,31-37

I demoni  riconoscono Gesù MC 3,11-12

La Figlia della donna a Tiro  MC 7,24-30

Quando uno spirito impure esce dall’uomo  LC 11,24-26

L’indemoniato cieco e muto MT 12,22

GUARIGIONI:

Guarigione lebbroso MT 8,1-4. MC 1,40-45. LC 5,12-16

Guarigione dei 10 lebbrosi LC 17,11-19

Il servo del centurione MT 8,5-13. LC 7,1-10

Guarigione suocera di Pietro MT 8,14-15. MC 1,29-31. LC 4,38-39

Compimento profezia sulle guarigioni MT 8,16-17. GV 12,37-43. MT 12,15-21

La grande folla che lo segue MC 3,7-10

Guarigione paralitico MT 9,1-8. MC 2,1-12. LC 5,17-26

La donna con le perdite di sangue MT 9,20-22. MC 5,25-34 . LC 8,43-48

Guarigione ciechi  MT 9,27-31. MC 10,46-52. MC 8,22-26. LC 18,35-42. MT 20,29-34. GV 9,1-12

Guarigioni varie MT 14,34-36. MC 6,52-56. LC 4,40.  LC 4,42-43

La donna cananea MT 15,21-28

Il sordomuto nella Decàpoli  MC 7,31-37

Gesù guarisce il figlio di un funzionario del re  GV 4,43-54

Guarigione paralitico in giorno di sabato  GV 5,1-18

Guarigione uomo dalla mano inaridita MC 3,1-6

Guarigione della donna curva LC 13,10-17. 

Guarigione orecchio a Malco LC 22,50-51

MIRACOLI SULLA NATURA:

La tempesta sedata MT 8,23-27. MC 4,35-41. LC 8,22-25

Moltiplicazioni dei pani e dei pesci  MT 14,13-21.  MT 15,29-39. MC 6,30-44 e MC 8,1-21. LC 9,10-17. GV 6,1-15

Gesù cammina sulle acque  MT 14,22-33. MC 6,45-52. GV 6,16-21

La trasfigurazione  MT 16,27-28. 17,1-9. MC 9,1-10. LC 9,27-36

La moneta d’argento per la tassa MT 17,24-27

L’albero di fichi  MC 11,12-14.   MC 11,20-21

La pesca miracolosa  LC 5,1-11

Trasformazione acqua in vino GV 2,1-12

RESURREZIONI:

Resurrezione del figlio di una vedova LC 7,11-17

Resurrezione di Lazzaro GV 11,1-46

Resurrezione figlia di Giairo, uno dei capi dei sacerdoti  MT 9,18-19 e 23,26. MC 5,1-24 e MC 5,35-43. LC 8,40-42.  LC 8,49-56

LE PARABOLE

A Gesù piaceva, da buon ebreo, usare un linguaggio figurato e per questo ricorreva alle parabole. Anche nell’antico testamento ci sono alcune delle parabole, ma essi sono molto più tipici nei vangeli. Esse sono un metodo d’insegnamento ebraico, quando si vuole dare un insegnamento, si racconta una storia che contengono degli insegnamenti. La sua comprensione deve essere capita non da un’analisi di ogni singolo elemento presente nella parabola, ma nel suo insieme.

CARATTERISTICHE DELLE PARABOLE

• È un racconto breve, ma completo, preso dalla vita comune.

• Con questo racconto di vita quotidiana si simbolizza un verità religiosa o morale.

 • Non si deve intenderla in modo analitico attribuendo un significato ad ogni elemento, ma, partendo dall’insieme degli elementi, concentrarsi sull’idea fondamentale.

 • Da questo pensiero fondamentale si trae una conseguenza pratica di facile e chiara applicazione nel campo religioso o morale.

• In molte parabole Gesù usa circostanze della vita quotidiana esagerandole artificialmente. Ad esempio, il seminatore che non sa seminare bene; il figlio prodigo trattato meglio del primogenito al suo rientro a casa; i lavoratori dell’ultima ora pagati in modo uguale a quelli delle prime ore, ecc. Ed è proprio questo elemento, esagerato, curioso e fuori posto, che fa pensare e apre una porta ad una realtà distinta e migliore, che ricalca la realtà di Dio

TIPOLOGIE DI PARABOLE

Le parabole più estese possiamo dire che sono 35 e quasi tutte si riferiscono al Regno di Dio. Tuttavia per il contenuto solitamente si dividono in vari gruppi:

Parabole del Regno di Dio

 Furono narrate durante il tempo del ministero in Galilea e solitamente cominciano nello stesso modo: “Il regno di Dio è simile a…” (“Il regno dei cieli si può paragonare a…”) Ad esempio la parabola del seminatore, della zizzania, del lievito, ecc. (cfr. Mt 13).

Parabole della misericordia

 In queste parabole si mette in rilievo la bontà e la misericordia di Dio verso il peccatore. Molte sono dirette ai farisei: un invito a gioire per la bontà di Dio. Ad esempio la parabola del figlio prodigo, della pecora perduta, ecc. (Lc 15).

Parabole di rimprovero

Si riferiscono al popolo giudeo che viene abbandonato da Dio per la sua ostinazione. Ad esempio la parabola del fico senza frutto (Lc 13,6-9), dei vignaioli (Mt 21,33-41), delle nozze (Mt 22,2-14).

Parabole morali

Esse contengono alcuni insegnamenti morali per la vita. A loro volta si possono suddividere a seconda del tema:

  1. l’amore al prossimo: il buon samaritano (cfr. Lc 10,25-37), parabola del convito – l’invito ai poveri (cfr. Lc 14,12-14), il perdono (cfr. Mt 18,23-35), il ricco e il povero Lazzaro (cfr. Lc 16,19-31), ecc.
  2. la vigilanza: il servo vigilante (cfr. Mc 13,34-37), il servo fedele e infedele (cfr. Mt 24,42-51), le dieci vergini (cfr. Mt 25,1-13), i talenti (cfr. Mt 25,14-30), ecc.
  3. atteggiamento verso Dio: l’amico inopportuno (cfr. Lc 11,5-8), la vedova perseverante (cfr. Lc 18,2-8), la scelta dei primi posti (cfr. Lc 14,7-11), il ricco stolto (cfr. Lc 12,13-21), il fariseo e il pubblicano (cfr. Lc 18,9-14), ecc.