L’AMORE DI DIO CI VIENE INCONTRO

Viene spesso detto ai credenti che Dio è amore, ci ama e ci protegge se noi confidiamo in Lui, ma non tutti sono veramente consapevoli di questo. Per noi dire “amare” è quasi considerata come una cosa generica che può cambiare a seconda del contesto. Nel greco antico, che è la lingua nel quale sono stati scritti i vangeli, ci sono tre parole per esprimere la parola amore e sono suddivisi in tre diversi livelli.

1)EROS   Ἔρως

Il primo è definita con la parola “Eros”. Si tratta di quel tipo di amore che una persona cerca per soddisfare solamente i propri bisogni, ma non interessa per niente che l’altra persona sia felice o meno. Un esempio tipico è quando un ragazzo cerca una ragazza solo per soddisfare gli impulsi sessuali e quando è ancora poco che frequenta una ragazza gli chiede di avere un rapporto con lui e se lei accetta; una volta consumato l’atto non ha più motivo di stare con lei, quindi se ne va. È un amore molto superficiale, di bassissimo livello tipico delle persone lontane da Dio.

2)PHILEO Φυλεύς

Il secondo è definito l’amore “phileo”; Si tratta di quel tipo di amore che una persona cerca per soddisfare i propri bisogni e contemporaneamente desidera soddisfare anche quelli dell’altro. È un amore ben superiore al primo, e si manifesta ad esempio nell’amicizia, quando si prova affetto, si vuole bene a qualcuno.

3)AGAPE ἀγάπη

Il terzo invece si tratta dell’amore più profondo e sublime che una persona possa provare, è definito l’amore “agape”. È il tipo di amore che Dio vorrebbe nel cuore di tutti noi e ci porta ad andare incontro al prossimo in modo gratuito, mosso unicamente dal bene dell’altro. Un amore che si dimostra nella praticità ed è indipendente dall’affetto che possiamo provare, perciò si può applicare anche a che non ci sta simpatico. Questo tipo di amore è descritto da Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Nella Bibbia è generalmente tradotta con la parola “carità” poiché in italiano non esiste una parola che equivale perfettamente alla parola “agape” perciò è stata scelta quella parola che è più vicino a quel significato, ma che può generale fraintendimenti. Infatti, quando sentiamo alla parola “carità”, pensiamo a un atto di amore mosso dalla compassione che è una cosa sicuramente buona, ma non racchiude nella sua completezza il significato della parola “agape”. Riporto qui sotto il versetto che parla di quel tipo di amore:

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (1Corinzi 13,4-7)

Dio ci ama immensamente e vorrebbe che anche noi lo amassimo proprio con l’amore “agape”, così anche il nostro prossimo. Non significa che bisogna amare tutti allo stesso modo, ma avere comunque la capacità di farlo; sicuramente è importare avere quel tipo di amore con i migliori amici, con la propria moglie, con i parenti e con le persone che ci stanno maggiormente più vicini. Dio è il primo che ci ama con questo tipo di amore e quando inizieremo a trattare le persone come Dio tratta noi, sapremo cosa vuole dire amare con l’amore agape. Infatti è Dio il primo ad avere compassione, misericordia e pazienza nei nostri confronti, come troviamo infatti in Giovanni 3,16:

Perché Dio ha tanto amato (agape) il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, che chiunque crede in lui non perirà, ma avrà la vita eterna.

Allo stesso modo anche noi dovremo comportarci così con il prossimo, anche se può sembrare difficile farlo, ma con Dio ogni cosa è possibile, da soli non possiamo fare nulla. Nel Vangelo c’è una parabola che parla di un mercante di perle (Matteo 13,45-46); un giorno trova una perla di grande valore; va a vendere tutto per comprare quella perla. Ci sono persone che interpretano questa parabola dicendo che il mercante è ognuno di noi, trova la perla, cioè la fede e sacrifica tutto per ottenere la fede. Ora; si potrebbe fare un bel discorso partendo da  questa interpretazione, ma ha un problema: la fede non si può comprare, è un dono di Dio gratuito. La giusta interpretazione è che il mercante è Dio e la perla siamo noi. È Il Signore che ci ha comprato a caro prezzo per mezzo del sacrificio di Gesù sulla croce. È per questo che Dio dimostra il nostro amore per noi, e leggendo molte testimonianze ho scoperto che molti arrivano alla conversione quando comprendono questa verità nella sua pienezza. Si rendono finalmente conto di quando Dio ci ha amato ed è in Gesù che si è realizzato il suo amore per te (Giovanni 17,26), infatti Cristo è l’esatta impronta della sua essenza (Ebrei 1,3) dimostrando che non è contro di te, ma è con te (Romani 8,31). Infatti, quando ancora eravamo peccatori Cristo è morto per noi (Romani 5,8). Il cristianesimo non è quello che l’uomo fa per Dio; ma è quello che Dio ha fatto per noi. Anche se tu fossi stato l’unico peccatore al mondo, Gesù si sarebbe sacrificato anche solo per te, perché ognuno di noi ai suoi occhi ha un immenso valore. In risposta del suo amore che ci ha dimostrato concretamente anche noi dobbiamo amarlo ed essere disposti a servirlo, infatti ha fatto tutto questo per guadagnarti il tuo amore, non essere dunque ingrato ed indifferente a questo. Nella lettera ai corinzi troviamo scritto le parole << tutto scusa >>, non è inteso per ingenuità o per debolezza, ma è per non permettere al male di divenire una cosa sola con noi e non ci contamini. L’amore è una cosa essenziale nella vita di un credente, anche se imparasse tutta la Bibbia a memoria, ma non avesse amore nel suo cuore, allora non servirebbe a nulla; la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica (Corinzi 8,1), infatti chi pensa di conosce bene la scrittura ma non ha amore nel cuore, non è gradito a Dio in quanto non basta conoscere la parola, bisogna anche metterla in pratica e senza amore non è possibile vivere il Vangelo; chi pretende di farlo è solamente un religioso farisaico (Ved. Pag. 190). Così anche se dichiarasse di avere una grande fede, ma poi non avesse amore allora quella fede non gioverebbe affatto. Che cosa fare però se il nostro amore non arriva al livello “agape”? Nel Vangelo c’è un episodio nell’ultimo capitolo di Giovanni, dove sono protagonisti i discepoli che dopo aver visto due volte Gesù apparso dopo la resurrezione tornano in Galilea aspettando un’altra apparizione di Gesù come aveva promesso. Passarono dei giorni che non avvenne nulla e a questo punto Pietro decise di andare a pescare e anche i suoi discepoli vennero con lui. Questo era un po’ come tornare alla vecchia vita, prima dell’incontro con Gesù. Ma proprio lui gli disse: vi farò pescatori di uomini (Matteo 4,19). La loro chiamata era quella di predicare a tutte le genti la salvezza tramite la croce di Cristo e tutti gli altri suoi insegnamenti. Andare a pescare quindi non faceva parte della loro chiamata. Passarono tutta la notte in barca ma non presero nulla finché non videro Gesù sulla costa e disse di mettere la rete sul lato destro della barca. Loro però non lo riconobbero subito. Seguito il consiglio presero una grossa quantità di pesce e qui riconobbero che era proprio lui. Avvenne poi che i discepoli lo raggiunsero in riva e iniziarono a mangiare insieme. Gesù disse a Pietro:  << Mi ami più di costoro? >> Qui per amore nel testo originale indica la parola “agape”. Pietro rispose: << Certo Signore, lo sai che ti voglio bene. >> Qui Pietro risponde, però, usando la parola “phileo”; quindi un tipo di amore inferiore rispetto a quello che gli era stato chiesto. Gesù ripeté la stessa domanda e Pietro rispose allo stesso modo. Allora la terza volta Gesù gli chiese: << Mi vuoi bene? >> Quindi amore “phileo”. Pietro rispose, << Certo Signore tu sai tutto e sai che ti voglio bene >>. Pietro si rattristò molto; tutto questo richiamava il fatto che lo aveva tradito tre volte quando lui il giorno prima aveva detto che non lo avrebbe abbandonato, costasse anche morire con lui. Ma è anche triste vedere il Signore costretto ad abbassarsi al nostro livello perché non riusciamo ad arrivare al livello che Dio vorrebbe che noi arriviamo. Questo limita l’opera di Dio che vorrebbe fare su di noi, perdendo così molte benedizioni che avrebbe voluto donarci anche se saremo salvati lo stesso. Pietro sicuramente avrebbe voluto dire che lo amava con tutto il cuore, ma non lo dimostrava però con i fatti, perché l’andare a pescare nel suo caso deviava rispetto alla missione che Dio gli aveva affidato. Se Pietro non è riuscito ad arrivare a dire che lo amava con l’amore “agape” potrebbe quasi consolarci, ma non è una scusa per noi. È importante impegnarsi ogni giorno a cercare Dio e la sua sapienza, perché più ci si avvicinerà a Dio e più la nostra vita cambierà. Gesù ci verrà incontro al livello che noi riusciremo ad arrivare e cercherà di fare di tutto a quel livello per poterci benedire o insegnare qualcosa. Il fatto che Dio ci viene incontro ricorda come nell’antico testamento Dio faceva delle concessioni al popolo di Israele perché non riusciva ad arrivare al livello che Dio avrebbe voluto. Un esempio si ha nel divorzio descritto in Deuteronomio 24,3 dove spiega le regole per separarsi dalla moglie. Gesù spiegò che questa era una concessione fatta agli Israeliti a causa della durezza del loro cuore (Matteo 19,8 e Marco 10,5), ma inizialmente in Genesi 2,24 sta scritto: dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto (Marco 10,9). Un altro esempio di concessione si trova nel libro di 1Samuele 8,5-22 quando gli israeliti chiedono che Israele diventi una monarchia come tutte le altre nazioni. Secondo il disegno di Dio Israele sarebbe dovuta essere conosciuta come la nazione senza un re, appunto perché il re era Dio stesso, ma loro hanno preferito un re umano. Il Signore lo concesse ma fu lui stesso a sceglierlo per mezzo di Samuele. Dio è lo stesso ora come ieri, e anche oggi può fare delle concessioni, Gesù però ricorda di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l’anima; poi anche: siate perfetti come è perfetto il padre mio che è nei cieli  (Matteo 5,47). Questo sta a indicare che bisogna sempre puntare in alto. Non si può arrivare al nostro massimo in breve tempo, il cammino di fede è molto lungo e a volte difficile ma non bisogna mai rimanere fermi, continuare ad avvicinarsi sempre gradualmente a Dio, ci saranno delle prove da affrontare, ma più si cercherà Dio e più la nostra vita cambierà e i risultati si vedranno e il Signore non abbandona chi agisce così; sta scritto infatti:  Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore  (Geremia 29,13). Ci possono essere uno o più periodi della nostra vita che rimaniamo fermi spiritualmente, per un motivo o per l’altro non cerchiamo il Signore più di tanto. Questo viene definito biblicamente “vagare nel deserto”: Questo richiama come gli israeliti vagarono nel deserto per 40 anni prima di entrare nella terra promessa; questo per paura e per mancanza di fede. A volte anche noi siamo spiritualmente in una situazione simile, al posto di entrare nella terra promessa e ricevere le benedizioni, si preferisce rimanere nel deserto a condurre una vita travagliata e stressante. Non è mai troppo tardi per seguire il Signore. Nel Vangelo di Matteo capitolo 20 troviamo la parabola degli operai invitati nella vigna, dove narra di un padrone che possedeva una grande vigna; incontra al mattino delle persone disposte a lavorarci e con loro si accordano per la paga di un denaro. Durante la giornata il padrone della vigna invitò altre persone a lavorare, sia al pomeriggio che alla sera. C’era quindi qualcuno che lavorò per tutto il giorno, qualcuno mezza giornata e qualcuno che lavorò un ora soltanto. A fine giornata distribuì le paghe a tutti partendo dagli ultimi, dando a loro un denaro, così anche quelli del pomeriggio. Arrivati quelli del mattino pensavano di ricevere di più, ma ricevettero anche loro un denaro, per questo iniziarono a mormorare contro il padrone, che gli ricordò a loro dell’accordo iniziale di un denaro e non aveva fatto a loro nessun torno, ma per generosità voleva dare un denaro anche a tutti gli altri. Questo sta ad indicare che non è mai troppo tardi per andare al Signore e anche se ci si converte durante la vecchiaia, anche a loro il paradiso è assicurato, perché Dio è buono e generoso con chi sta con lui ed è una generosità divina che supera le barriere della giustizia umana; è la celebrazione della grazia che va al di là dei meriti dell’uomo. Per chi si converte verso la fine o metà della propria vita rimane il rimpianto di non aver voluto accettare Cristo come salvatore prima, risparmiandosi molti guai e sofferenze. Per chi invece si converte già in gioventù e incontra persone malvagie che gli procurano dolori, non deve augurare a loro che muoiano e vadano all’inferno, ma che si convertano e ricevano la stessa vita eterna che riceverà lui. Questo è avere il cuore con Dio. È sbagliato anche dire: Inizierò a pensare a Dio nella vecchiaia, adesso sono giovane, posso fare come voglio adesso e poi al limite mi convertirò più avanti. Non si può mai sapere quando sarà la nostra ora, se dovesse morire prima di convertirsi non andrebbe in cielo, ma in ogni caso non è una mentalità che mette Dio al primo posto. Gesù alla persona che voleva seguirlo dicendo: Aspetta prima che seppellisca mio padre, lui risponde: Lascia che i morti seppelliscano i morti, tu seguirmi. Il fatto di seppellire era un’espressione che stava a indicare di aspettare che suo padre morisse di vecchiaia, quindi non era una cosa immediata, ma questione di anni. Gesù dice non aspettare, seguirmi! Fallo adesso! Allo stesso modo Gesù lo dice anche ad ognuno di noi di seguirlo subito senza mettere qualcosa prima di lui.

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