Ritorniamo ad analizzare genesi 6,4 dove abbiamo lasciato in sospeso un aspetto curioso. Nella prima parte del versetto si parla di giganti. Ma è proprio così? Riporto qui la parte del versetto interessato:
C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo
Nel versetto vediamo che durante le unioni tra i figli degli ELOHIM e le figlie degli uomini spiegate in un precedente articolo (https://teofilo.cw.center/genesi-64/ ) , al tempo stesso sulla terra c’erano i giganti. Da far attenzione che i giganti non erano il risultato degli incroci sessuali, ma dice solamente che erano presenti in quel epoca. La parola ebraica tradotta con giganti è NEFILIM. La traduzione di questo termine in “giganti” deriva dalla versione greca dei LXX dove i traduttori hanno pensato i NEFILIM come giganti. La versione dei LXX è considerata autorevole, ma per quanto riguarda la traduzione di questa parola viene spesso contestata. Per Biglino ci sono due versioni molto diverse tra di loro per quanto riguarda la parola NEFILIM, ma entrambe le versioni ne dà una interpretazione ufologica:
NEFILIM potrebbe derivare da NAFAL נָפַל che significa cadere. Sarebbero quindi coloro che cadono, o scendono. Chi sono quindi? Sono coloro che sono scesi sulla terra con le loro astronavi.
Una parte dell’esegesi ebraica sostiene che NEFILIM potrebbe derivare da NEFEL נֵפֶל che significa aborti. Se la classe dominante vedeva minacciato il suo potere a discapito di una determinata etnia e gruppo di persone, si applicavano gli aborti selettivi. Quindi gli ELOHIM avevano la tecnologia per fare le radiografie e stabilire se era maschio o femmina. Se era maschio si abortiva.
Ora vediamo di seguire entrambi le piste:
Il verbo NAFAL ha una connotazione più che altro negativa, viene utilizzato per dire che un soldato è caduto in battaglia, un oggetto che è caduto e si è frantumato, perdere una battaglia o cadere moralmente nel peccato. Il significato di scendere si intende qualcosa che scende e rimane fermo. L’utilizzo del verbo NAFAL per indicare degli individui scesi con un astronave è molto improbabile. Non ci sono indicazioni che si riferisca a qualcosa che proviene dal cielo, quella è pura invenzione. Ma anche fosse così si intenderebbe qualcosa che cade e si frantuma o qualcosa che rimane fermo, come un sasso che cade accidentalmente e rimane fermo. Se l’autore avesse voluto intendere qualcosa che scende in una connotazione positiva, nel senso che non si rompe o non muore avrebbe usato il verbo IARAD יָרַד. Quello sì che avrebbe potuto essere interpretato come un’astronave che viene dal cielo e fa scendere le persone sulla terra, anche se sarebbe stata lo stesso un’interpretazione fantasiosa senza prove, ma almeno grammaticalmente sostenibile. Ma anche se NEFILIM derivasse da NAFAL con più probabilità si intenderebbe persone cadute moralmente, quindi malvagie e sarebbe in linea con la spiegazione precedente sui figli di Dio e figlie degli uomini.
Per quanto riguarda la seconda ipotesi è sicuramente più fattibile che derivi da NEFEL e si riferisca ad aborti. Si sa che nell’antichità purtroppo questa pratica veniva usata per evitare che una categoria di persone aumentasse troppo di numero e diventasse troppo potente da minacciare l’attuale status quo. Un esempio lo troviamo proprio in esodo 1, quando un faraone che iniziò a percepire gli ebrei come una possibile minaccia e iniziò a opprimerli con lavori forzati, un esempio lo troviamo nel versetto 15 e 16:
Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua:”Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere”.
Questo è un esempio di quando nella Bibbia si parla di aborti. Non sono gli aborti come li intendiamo ai nostri giorni. Sono in realtà degli infanticidi, nessuno aveva la tecnologia per fare l’ecografia e vedere in anticipo il sesso del nascituro. Quindi la supposizione di Biglino è completamente infondata. Se il significato di NEFILIM si riferisse agli aborti sarebbe in linea con quello spiegato in precedenza: La malvagità dei GHIBBORIM, גִּבֹּרִים i potenti e famosi erano così malvagi da autorizzare gli aborti selettivi; evidentemente per assicurarsi di mantenere il potere a lungo. Da notare che il testo parla di figlie degli uomini e non figli degli uomini, da qui si può dedurre che i figli degli uomini non c’erano in quanto venivano uccisi alla nascita. La traduzione di NEFILIM come giganti deriva dal fatto che questo termine compare anche in numeri 13,33 dove gli israeliti inviano le spie per perlustrare il territorio di Caanan, e al ritorno dicono di aver visto i NEFILIM:
Vi abbiamo visto i giganti(NEFILIM) 1), discendenti di Anak, della razza dei giganti,(NEFILM) 2)
1) Il primo NEFIYLIM è scritto in modo leggermente diverso da quello in genesi 6. Compare una YOD, una piccola lettera in più che non modifica la pronuncia ma il significato. In questo caso la radice è FALAH פַלַה che significa selezionare, trattare in modo speciale o esclusivo. Come Mosè che essendo maschio avrebbe dovuto morire, invece fu trovato dalla figlia del faraone e allevato come egiziano.
2) Il secondo NEFILIM è uguale a quello di genesi 6, con probabile derivazione da NAFAL nel senso di persone moralmente cadute.
A parte il possibile significato della parola NEFILIM il mio scopo è dimostrare che in ogni caso non può essere ricondotto a una chiave di lettura ufologica e le argomentazioni di Biglino sono infondate.
Oltre a tutta quella narrazione riguardante la creazione dell’uomo, Biglino dà anche la sua versione dei fatti sul famoso episodio di Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. Come tutti sapranno, Dio lascia libertà all’uomo di mangiare di tutti i frutti del giardino dell’eden a accezione dell’albero della conoscenza del bene e del male, che qualora lo mangiasse morirebbe. Entra in gioco il serpente che induce Eva in tentazione affinché mangiasse proprio da quel albero, dicendo che sarebbe stata come Dio, conoscendo il bene e il male. Eva quindi mangiò dall’albero proibito e così anche Adamo fece lo stesso. Il Risultato è la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Questo è il racconto in forma molto sintetica. Vediamo ora la versione dei fatti dal punto di vista dei “liberi pensatori”:
INTEPRETAZIONE DI BIGLINO:
Quello che conosciamo come “giardino dell’Eden”, era un laboratorio di ingegneria genetica dove venivano clonati gli uomini con lo scopo di occuparsi della manutenzione dell’area verde. Questi uomini non avrebbero dovuto procreare perché dovevano essere gli ELOHIM ad avere il completo controllo della specie. Entra in scena l’albero della conoscenza del bene e del male. Ci viene detto che Adamo ed Eva hanno mangiato la mela dall’albero della conoscenza del bene e del male e si dice che quando hanno consumato questo frutto, Adamo ed Eva, secondo la tradizione hanno iniziato di distinguere il bene dal male. In questo racconto simbolico, secondo i teologi, Dio ha inserito nel cuore dell’uomo il senso del giusto e dell’ingiusto, di ciò che è bene e ciò che è male, creando una netta distinzione. Ma non è così. Non c’è il concetto della distinzione tra bene e male. Quando gli antichi ebrei volevano introdurre il concetto della distinzione usavano una terminologia precisa: BEN UVEN, come ad esempio distinguere da una mela e una pera. Qui questa espressione non c’è. Inoltre vien usato il verbo IADA, conoscere, che nel linguaggio biblico è differente dal conoscere come lo intendiamo noi. Il conoscere biblico è quando un uomo conosce una donna tramite un rapporto sessuale, ovvero una sperimentazione fisica e diretta. Nel brano in questione si esprime un concetto ben preciso: Adamo ed Eva cominceranno ad sperimentale il bene e male intesi come concreti. Il termine RA tradotto come “male” non ha nulla a che vedere con il concetto astratto di male, ma indica la fisiopatologia del corpo umano. Questo brano ci dice che Adamo e Eva sperimentando la possibilità di procreare, si sono accorti di diventare autosufficienti rispetto agli ELOHIM, che fino a quel momento avevano il controllo della nascita degli uomini all’interno del laboratorio, da quel momento gli ELOHIM decidono di cacciare Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden e sperimenteranno, ovvero conosceranno in senso biblico, gli aspetti del positivi, il bene e gli aspetti negativi, ovvero il male della vostra nuova vita. Aspetti entrambi concreti e nulla a che vedere con concetti morali, come il giusto e l’ingiusto o il distinguere il bene dal male. Fu il NAHASH, il serpente a convincere Eva a mangiare il frutto ovvero ad avere un rapporto sessuale con lui, egli infatti era uno degli ELOHIM dedito alla gestione del laboratorio, ma di una faida interna dissidente rispetto ai capi. Egli infatti desiderava che l’uomo potesse provvedere a se stesso riguardo la sua riproduzione. Dopo di che, Eva avendo scoperto il sesso replicò la stessa esperienza con Adamo.
GIARDINO DELL’EDEN UN LABORATORIO?
Il fatto di identificare il giardino dell’Eden un laboratorio dipende dalle convinzioni smontate in precedenza, ovvero che l’uomo è stato “fabbricato” mediante ingegneria genetica. Ma nella descrizione dell’Eden non c’è niente che può far pensare a un laboratorio, oltre alla vegetazione e i quattro fiumi non ci sono descritti degli edifici artificiali e questo è un problema per chi vuol pensare che sia una laboratorio. Il giardino era inoltre recintato e la sua estensione era enorme; Qualche traccia archeologica sarebbe dovuta rimanere di questo recinto che di fatto non c’è. Il NACHASH נָּחָשׁ inoltre non poteva essere uno dei tanti ELOHIM. Vediamo cosa dice la scrittura riguardo questo soggetto: [1]
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto (Genesi 3,1).
Dalla traduzione interlineare vediamo che il NACHASH è il più astuto dei “CHAYATH”. Questo è un vocabolo già analizzato in precedenza, ma in questo versetto lo troviamo nella forma costrutta in quanto è collegato alla parola MICOL, da tutto. La forma base è CHAYACH con il significato di “vivente”. Questo comprende non solo gli animali, ma anche le entità celesti. Infatti, da come sappiamo dalla teologia il NACHASH non è un serpente parlante, ma è satana. Viene chiamato “serpente” come pseudonimo dispregiativo. La parola SADEH indica un territorio limitato, in questo caso si potrebbe tradurre con l’espressione “in questo luogo”. In alcune traduzioni questa parola non figura nella traduzione italiana. Ma la parte del versetto che ci balza più all’occhio è quando dice che questo NACHASH dunque è una creatura, scritto espressamente fatta (ASAH) ovvero creata da YHWH, e non può dunque essere uno dei tanti ELOHIM al pari di YHWH, che di fatto è una pura invenzione. Ma una sua creatura, in quanto, Lui è il creatore di tutto. Se poi gli ELOHIM non avessero voluto che gli uomini procreassero autonomamente sarebbe stato sufficiente renderli sterili. È anche piuttosto ridicolo pensare che è stato necessario qualcuno per insegnare loro l’esistenza di compiere rapporti sessuali. Agli animali nessuno gli insegna questo, eppure lo fanno lo stesso. L’uomo che è molto più intelligente non avrebbe avuto sicuramente bisogno di insegnarli questo. A parte ogni possibile ragionamento che vada in contraddizione con la versione dei “liberi pensatori”, va anche in contrasto con la stessa scrittura. In Genesi 1 troviamo:
Dio li benedisse e Dio disse loro: <<Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela>> (Genesi 1,28)
Quindi la procreazione era qualcosa di scontata e incentivata da Dio per riempire la terra e non un tabù celato e proibito.
LE PAROLE: RA רַע – IADA יָדַע
Quindi secondo l’interpretazione di Biglino, la cacciata di Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden implica che da quel momento dovranno sperimentare, vivere, una vita diversa dalla vita all’interno del giardino e avranno degli svantaggi, gli aspetti negativi e dei vantaggi, gli aspetti positivi. Quali sono gli aspetti negativi? Per Adamo la fatica di approvvigionare del cibo per se stesso e Eva. Per lei il dover partorire e di conseguenza soffrire dei dolori del parto. Gli aspetti positivi invece? Non c’è ne sono. La scrittura parla solo di aspetti negativi. Allora perché secondo questa interpretazione alternativa ci sarebbero dovuti essere anche degli aspetti positivi? Nella conclusione narrata vediamo che qualcosa non torna. Uno dei punti più importanti del ragionamento di Biglino è che la parola tradotta con “male” ovvero RA, non indica un concetto morale ma un dolore o fatica fisica. Non ci resta che consultare il dizionario per verificare se è effettivamente così. Alla parola RA troviamo questo:
Vediamo che è presente una lunga lista di possibili significati tra cui anche dolore e infermità che rientra nella sfera fisica, ma troviamo anche significati come malvagità, perversione, perfidia, malignità che invece esprimono concetti morali. La parola RA è spesso accompagnata a TOV ovvero bene di cui Biglino non fa menzione e ha valore polare e in antitesi con RA, nel dizionario una lunga serie di esempi in cui è presente questi due vocaboli insieme. Citerò un esempio:
Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso? (1Re 3,9)
In questo versetto il re Salomone chiede a Dio la sapienza per distinguere il bene e il male con lo scopo di governare il regno con giustizia e saggezza. Vediamo come le parole bene (TOV) e male (RA) non indicano qualcosa di fisico, ma bensì un concetto morale di bene e male.
Si può concludere che la parola RA indica il male in senso generale e può cambiare a seconda del contesto, ma nella maggior parte dei casi indica concetti della sfera morale. Nel caso dell’albero della conoscenza del bene e del male non c’è nulla che possa essere ricondotto a un male di tipo fisico, basterebbe solo questo per far crollare la narrazione alternativa dei liberi pensatori.
La seconda più importante parola che Biglino mette in discussione è il verbo IADA. Secondo Biglino non significa conoscere come lo intendiamo noi, ma vivere un’esperienza. Si usa anche per indicare un rapporto sessuale in una coppia quando appunto le due persone “si conoscono”. Questa è una chiave che sostiene la narrazione alternativa di Biglino. Infine, nel passo della genesi dove si parla dell’albero della conoscenza del bene e del male, è completamente assente il concetto di distinzione tra il bene e il male, in quanto mancherebbe la struttura grammaticale che viene sempre usata per indicare una distinzione tra due parti. Che cosa significa questo? La struttura grammaticale è BEN UVEN. Per capirci se in italiano diciamo la frase: << distinguere tra una mela e una pera>>, vediamo che come struttura ci sono le parole “tra” e “e una”. La stessa cosa vale anche per l’ebraico con BEN al posto di “tra” e UBEN al posto di “e una”. Se andiamo a consultare il dizionario alla voce IADA troviamo che questo verbo è assai più complicato di quanto si pensi. Ci sono infatti ben tre pagine di definizione, spiegando tutte le mille sfaccettature di questo vocabolo. Biglino ne fa una spiegazione semplicistica orientata a sostenere la sua tesi. La parola IADA da dizionario ha molteplici varianti e sfumature, distinguibili di solito in base al contesto. L’acquisizione della conoscenza può essere differenziata a seconda del processo, può essere tramite un esperienza, una apprendistato; ma anche un’informazione. Nella sottovoce dell’acquisizione della conoscenza troviamo: Percepire, osservare, notare, accorgersi, fare attenzione a, rendersi conto di, venire a sapere, accorgersi, sentire. Può anche avere il significato di distinguere, discernere; con complemento polare talvolta reso con la struttura BEN UVEN וּבֵן בֵּין; ripeto: talvolta e non sempre. Quindi viene usata spesso, ma non è una regola fondamentale, infatti ci sono diversi versetti dove la parola IADA è tradotta con “distinguere” e la struttura BEN UVEN è assente. Ne vediamo qui sotto tre esempi, in questi casi i termini IADA si trovano sotto forma di tre coniugazioni diverse (IADU, NEDA, HAEDA): Tra parentesi la versione ebraica della parte sottolineata.
Deuteronomio 1,39
… i vostri bambini, dei quali avevate detto che sarebbero divenuti oggetto di preda, e i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male, essi vi entreranno (LO IADU HAOM TOV VARA לֹא-יָדְעוּ הַיּוֹם טוֹב וָרָע).
Deuteronomio 18,21
Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo (o distingueremo) la parola che il Signore non ha detto?”. (NEDA נֵדַע).
2Samuele 19,36
Io ora ho ottant’anni; posso forse ancora distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo? (HAEDA BEN TOV LERA הַאֵדַע בֵּין-טוֹב לְרָע).
Il concetto del distinguere non è dato solo dalla grammatica, ma si può supporre di conseguenza. Se una persona conosce i numeri pari e dispari di conseguenza è in grado di distinguere che il 6 è pari e il 9 è dispari. Quando conosci due elementi opposti di conseguenza sei in grado di distinguerli, senza l’ausilio di strutture grammaticali. Quindi la conoscenza del bene e dal male non è solo una questione di esperienza, ma può essere intesa come informazione immediata e se le conosci di conseguenza le sai distinguere. Per quanto riguarda il riferimento al quale Biglino indica la parola IADA come rapporto sessuale è da applicare solo quando è presente un soggetto maschile, IADA e un soggetto femminile, solo in quel contesto, la conoscenza si intende vivere una esperienza di coppia e il sesso è una conseguenza. Un esempio lo troviamo in Genesi 4,1:
Adamo conobbe (IADA) Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino
Il fatto che compare solo nel capitolo 4 e quindi dopo tutto l’episodio del giardino dell’eden, indica che solo dopo la cacciata dal giardino che Adamo ed Eva hanno avuto un rapporto carnale. Questo sconfessa il fatto che nel giardino abbiano avuti rapporti sessuali, perché se fossero avvenuti si sarebbe scritto chiaramente. Anche tutta storia dei due alberi non ci sarebbero dovuti essere se la narrazione ufologica fosse vera. Gli autori avrebbero impostato la vicenda in maniera completamente diversa senza bisogno di alberi della conoscenza del bene e dal male; ma avrebbero chiaramente descritto ogni azione con molta più chiarezza.
L’ALBERO DELLA CONOSCENZA DEL BENE E DEL MALE
Per comprendere questo testo bisogna entrare nella mentalità dell’autore biblico, una persona che sicuramente frequentatore di circoli sapienziali, una sorta di filosofo ebraico che scrive questi capitoli imprimendoli di tematiche sapienziali. Leggere questi capitoli in maniera meccanica senza tener conto della cultura dell’autore risulterà una lettura completamente fuorviante. Per comprendere cosa significa l’albero della conoscenza del bene e del male bisogna considerare anzitutto l’altro albero presente nel giardino, l’albero della Vita: quest’albero è in rapporto col dilemma “vita o morte”; poterne usufruire significa per Adamo ed Eva vivere, altrimenti morire. In altre parole, la vita dell’uomo dipende anche da un suo atteggiamento consapevole e responsabile, dall’impiego della sua libertà. L’Albero della Conoscenza a fianco dell’Albero della Vita è un riferimento all’uso della libertà umana, è l’ago della bilancia della riuscita del destino dell’uomo. Come bisogna comportarsi in modo da realizzare pienamente la propria vita evitando le insidie della morte? Questa è la tematica sapienziale che sta dietro a tutta la vicenda. L’autore del racconto sa, con tutta la tradizione biblica, che la vita è un dono di Dio. Essa allora può dirsi riuscita se condotta alla diretta dipendenza di Dio, avendo ben chiaro e presente ciò che la sua sapienza creatrice ha stabilito come costitutivo del bene e del male dell’uomo. L’albero della conoscenza del bene e del male ha il significato di insegnare come si vive alle dipendenze di Dio per ottenere e raggiungere la piena realizzazione della propria esistenza. L’uomo che sceglie di vivere una vita lontana da Dio è simile ad Adamo e Eva che scegliendo l’albero del bene e del male scelgono di voler loro distinguere il bene e il male. Quando l’uomo fa questa scelta combina disastri perché è Dio che con la sua sapienza a stabilire quel che è il giusto e quel che è sbagliato. I profeti rinfacciano a Israele proprio questo: l’aver agito male cambiando il bene in male e il male in bene (Amos 5,14-15; Isaia 5,20-21). In questa maniera il popolo di Dio non ha fatto altro che rigettare la legge di YHWH. Israele non si è lasciato guidare da YHWH, e questa è la radice del suo male. Ha pervertito la nozione del bene, così come glielo indicava la parola del Signore. Ha cercato un suo bene. S’è reso autonomo da Dio.
Biglino ripete più volte nei suoi libri e nelle conferenze che la Bibbia è un libro che parla solo di concetti concreti e non c’è nessun spazio alla spiritualità o alla trascendenza, introdotti successivamente dai teologi. La lingua ebraica non contemplava neppure i termini utili a definire i concetti che afferiscono alla sfera spirituale. Ma è proprio così? Ritorniamo ad esaminare Genesi 2,7, nella seconda parte del versetto troviamo:
… e soffiò nelle sue narici un alito di vita (NESHEMA) e l’uomo divenne un essere (NEFESH) vivente
In questo versetto troviamo due vocaboli interessanti che fanno pensare a tutt’altro. Partiamo con la parola NEFESH. Secondo Biglino questo vocabolo tradotto a volte con “anima” non ha nulla a che fare con un’attribuzione a una sostanza spirituale. Si riferisce a qualcosa di concreto: Gola, collo, persona, respiro, qualcuno … ma mai anima. Andiamo a vedere la definizione nel dizionario:
Vediamo nel dizionario che compaiono i vocaboli presentati da Biglino, ma troviamo anche la parola “anima” come principio di vita. Molti esempi di versetti dove è presente la parola NEFESH con il significato di anima le troviamo nei salmi. Qui sotto riporto alcuni esempi:
Salmo 107,8-9
Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini, perché ha saziato un animo assetato, un animo affamato ha ricolmato di bene.
Salmo 42,3. (versetto 6 analogo)
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?
Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me?
Salmo 35,9
Ma l’anima mia esulterà nel Signore e gioirà per la sua salvezza.
Da quello che si può notare nei salmi è che il NEFESH, in questo caso traducibile con “anima”, può rattristarsi, esultare ed avere fame e sete di Dio. Una fame e sete che non sono carnali ma spirituali e solo Dio può soddisfare quella sete. Nel pensiero ebraico, questi sono i casi dove il NEFESH è la parte più profonda del nostro essere, noi non abbiamo un anima, noi siamo una anima. Nella Bibbia dei LXX, la traduzione greca dell’antico testamento troviamo il termine NEFESH tradotto in greco con “PSYCHE”, che significa vita o uomo vivente; questo termine compare anche nei libri deuterocanonici scritti direttamente in greco. Vediamo due versetti dal libro della sapienza, uno dei libri deuterocanonici.
Sapienza 3,1-2
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà.
Sapienza 15,8
egli che, nato da poco dalla terra, tra poco ritornerà alla terra da cui fu tratto, quando gli sarà richiesta l’anima, avuta in prestito.
Dio è il creatore di ciascuna anima e tornerà a Dio come in un prestito. Le anime timorate da Dio sono sotto la sua tutela. Una visione molto lontana dalla narrazione ufologica, di esseri in carne ed ossa che creano in laboratorio l’uomo e la donna. Qui afferma che Dio ha creato l’anima di tutti noi. Il termine PSYCHE compare anche nel nuovo testamento essendo anch’esso scritto in greco. Vediamo alcuni versetti:
Giovanni 12,27.
Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?
In questo caso la parola PSYCHE è usata in maniera analoga ai salmi del vecchio testamento.
Ebrei 10,39.
Noi però non siamo di quelli che cedono, per la propria rovina, ma uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
Matteo 10,38
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo.
Qui afferma che l’anima è immortale e sarà giudicata da Dio, valutata se è degna di salvezza. Il corpo invece è solo temporaneo e in un modo o l’altro morirà.
Tessalonicesi 5,23 Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.
Qui abbiamo la chiara distinzione tra spirito, anima e corpo. E un’ulteriore prova, di come la Bibbia sia molto ricca di elementi spirituali di cui l’uomo può meditarci; contrariamente da come sostengono i “liberi pensatori”. Notiamo quindi una certa evoluzione dal concetto che gli ebrei avevano del NEFESH, nei casi in cui significava anima, si trattava di un entità vivente, ma un tutt’uno con il corpo. Nel nuovo testamento l’anima è ben distinta dal corpo, immortale e giudicata da Dio. Alcuni studiosi vedono in questo cambiamento l’influenza della cultura greca che dopo Alessandro magno si era affermata nel medio oriente. Se questa affermazione fosse positiva potremo dire che i filosofi greci avevano compreso alcuni frammenti della verità teologica, che applicata alla Bibbia e al termine NEFESH ne hanno completato il significato. Potrebbe essere per questo motivo che Dio permise per un certo tempo la diffusione della cultura greca nell’area.
Passiamo ora con l’esaminare l’altro vocabolo; Il termine che compare in Genesi 2,7 tradotto con alito di vita è NISHMAT da cui deriva la parola NESHAMAH. Secondo Biglino è un chiaro riferimento di quando gli ELOHIM hanno creato l’uomo in laboratorio e gli hanno messo un tubo in bocca e per mezzo di esso che gli hanno soffiato dell’aria in gola per farlo iniziare a respirare come quando un neonato, uscito dal grembo materno respira per la prima volta. Se non altro bisogna riconosce una certa fantasia per adattare i termini biblici secondo la narrazione ufologica. Anche questa volta andiamo a cercare sul dizionario la parola NESHAMAH e vediamo cosa troviamo.
Alla voce NESHAMAH troviamo nella prima nota che questo vocabolo è un sinonimo o associato alla parola RUACH. Nei capitoli precedenti abbiamo già analizzato questo termine approfondendo il suo significato spirituale. Essendo NESHAMAH un suo sinonimo eredita le sue caratteristiche assumendo in certi casi di fatto una valenza spirituale. In altri casi può considerarsi un sinonimo di NEFESH, troviamo infatti gli stessi significati, si essere vivente, persona e anima … Approfondiamo però l’aspetto del significato di alito e spirito. Andiamo ad analizzare gli esempi dell’uso di questo vocabolo, tenendo in considerazione che Genesi 2,7, il versetto preso sotto esame è uno di questi casi:
Lampada del Signore è lo spirito (NESHAMAH) dell’uomo: essa scruta dentro, fin nell’intimo. (Proverbi 20,27)
In questo caso viene tradotto con “spirito”; afferma che Dio può vedere e conoscere ogni profondità intima del nostro essere. La valenza spirituale di NESHAMAH è chiara.
Ma è lo spirito che è nell’uomo, è il soffio(NESHAMAH) dell’Onnipotente che lo fa intelligente. (Giobbe 32,8)
In questo versetto del libro di Giobbe parla un certo Eliu, il più giovane degli amici di Giobbe che sono venuti ad accusarlo proprio nel momento in cui Giobbe è più debole. Non ritiene le parole degli altri amici sagge, inizia quindi a dare il suo parere, iniziando a dire che essere anziani non significa per forza essere saggi, perché l’intelligenza è data dal soffio di Dio che evidentemente non tutti hanno allo stesso modo. Si riferisce al fatto che la NESHAMAH, similmente alla RUACH, conferisce attributi come l’intelligenza.
Lo spirito di Dio mi ha creato e il soffio (NESHAMAH) dell’Onnipotente mi fa vivere. (Giobbe 33,4)
Anche in questo caso, similmente a NEFESH, questo versetto afferma che Dio crea ognuno di noi, e non solo una persona, anche tramite il suo soffio, la sua NESHAMAH. Anche in questo caso la valenza spirituale è chiara.
Se egli pensasse solo a se stesso e a sé ritraesse il suo spirito e il suo soffio, (NESHAMAH) ogni carne morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe in polvere. (Giobbe 34,14-15)
In questo versetto si afferma che Dio volendo potrebbe ritirare la sua NESHAMAH di ognuno di noi e il risultato sarebbe la morte e il ritorno in polvere (AFAR), è possibile che, come detto precedentemente, si riferisca al dissolvimento del corpo umano nella terra e l’assorbimento degli elementi chimici nel terreno.
A chi hai rivolto le tue parole e l‘ispirazione(NESHAMAH) da chi ti è venuta? (Giobbe 26,4)
Qui è una delle risposte di Giobbe agli amici che lo giudicano. Risponde che prima di giudicarlo devono prima giudicare loro stessi. In questo versetto chiede agli amici da dove provengono le loro parole? Sono ispirate dalla loro carnalità e dallo spirito? In questo caso è tradotto con “ispirazione” e ha una valenza spirituale.
Dopo questi esempi dobbiamo chiederci se è giusto tradurre la parola NESHAMAH con un tubo che soffia aria per far respirare un individuo appena formato mediante ingegneria genetica. Considerando da come questo vocabolo è usato in altri versetti, assolutamente no!
Oltre alle sue spiegazioni basate sull’ebraico biblico, Biglino dedica alcune pagine dei suoi libri, soprattutto nel suo libro “la Bibbia non parla di Dio” a spiegare come la scienza sia compatibile con la narrazione secondo cui un lontano passato ci sia stato un intervento genetico esterno che ha dato un’accelerazione all’evoluzione umana. Ci sono stati degli studiosi che hanno criticato questa affermazione, in particolare uno studioso di nome Giacomo che ha condotto un percorso nell’ambito della biologia evoluzionistica ed è il proprietario del canale youtube “entropy for life”. In un video confuta Biglino e il suo genetista di riferimento, Pietro buffa, per quanto riguarda una possibile manipolazione genetica della specie umana dal punto di vista scientifico. Prima di fare questo video, dichiara di essersi preventivamente documentato in tutti i sui libri e le sue conferenze riguardante la tematica della genetica. Nessuno quindi potrebbe dirgli: Leggi i libri di Biglino e ti convincerai che ha ragione! Come i suoi fan sono soliti fare. Nel suo video passa in rassegna tutte le argomentazioni usati da Biglino per sostenere la sua tesi e le smonta una per una. Vediamo quali sono:
I CROMOSOMI IN MENO:
Un argomentazione che viene spesso usata per provare una manipolazione esterna del genoma umano è quella che noi uomini abbiamo due cromosoma in meno rispetto alle altre scimmie. Come è possibile questo? Non è un indizio che potrebbe far pensare a una manipolazione genetica artificiale? Questa variazione tecnicamente in genetica si chiama la traslocazione robertsoniana, consiste nella fusione di due cromosomi. Si tratta di un fenomeno riguardante la micro evoluzione piuttosto raro ma non impossibile. Infatti ci sono nel mondo molti esempi di specie che hanno subìto questa variazione genetica, uno di questi è il cavallo e l’asino o la volpe rossa e la volpe tibetana e molte altre. Dunque non è possibile usare questa argomentazione come prova inconfutabile di una manipolazione aliena dal momento che è una fenomeno che nel corso dei millenni è avvenuto molte volte sulla terra. Inoltre gli antropologi molecolari che studiano i cambiamenti delle sequenze del DNA e fanno degli schemi ad albero per tracciare l’andamento nel corso dei millenni, avrebbero sicuramente potuto notare dei cambiamenti dirompenti dovuti a un intervento genetico artificiale, invece lo schema è prettamente lineare e non coerente con l’ipotesi aliena. La tecnica di dire: Questa mutazione non poteva avvenire in maniera naturale, la userà altre volte per altri argomenti analoghi e la risposta è sempre la medesima. Tutte le mutazioni sono naturali anche se rare.
L’UOMO, UN ALIENO PER QUESTO MONDO:
Un altro argomento che affascina i fan di questa teoria è tutta quella narrazione che riguarda l’infattibilità di come si è sviluppata l’evoluzione umana fino ad oggi. Non abbiamo artigli per cacciare, i capelli crescono all’infinito, sembra che non siamo adatti per questo mondo e secondo la regola della selezione della specie avremo dovuto estinguerci perché non siamo una specie che ha tanti vantaggi rispetto alle altre. Bisogna tenere conto anche dell’evoluzione culturale. Nel corso del tempo, l’uomo ha implementato dentro i propri processi evolutivi anche degli aspetti culturali; non era importante solo come cambiava il proprio aspetto, ma anche come cambiava lo stile di vita e il proprio comportamento, ad esempio il riuscire a farsi dei vestiti scollegò l’uomo dall’ambiente esterno che permise di colonizzare ambienti con clima freddo senza morire assiderato, oppure il riuscire a costruirsi delle lance da caccia, questo sopperì la mancanza di artigli naturali. Dunque i cambiamenti culturali permisero all’uomo di vivere in contesti che non sarebbe potuto sopravvivere. In conclusione l’argomentazione esposta da Biglino non funziona davvero.
LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE NON FUNZIONA CON L’UOMO:
Un’altra strategia per convince gli interlocutori della veridicità della sua teoria è quella di dire che i padri della teoria dell’evoluzione, ad esempio Wallace disse che l’evoluzionismo così come è stato concepito non spiegava la presenza umana sulla terra. Ma si sta parlando di una persona che per quanto sia stata decisiva per la scienza moderna era comunque vissuta 150 anni fa, nel frattempo gli studi sono perseguiti e tutti gli eventuali dubbi ora gli scienziati danno una spiegazione. Le argomentazioni sviluppati da Biglino sono dunque ormai obsolete e non possono essere usate per sostenere la sua tesi.
IL FRUMENTO:
Gli ELOHIM oltre a creare geneticamente l’uomo come precedentemente spiegato hanno dovuto creare anche il modo di poterlo nutrire e così che quello che noi oggi conosciamo come il grano duro e le patate sono state modificate geneticamente per permettere essi di divenire commestibili per l’uomo. Nella Bibbia non c’è niente di tutto questo, infatti per convalidare questa tesi cita il professor Dario Bressanini dove in una della sue pubblicazioni, nella rivista “le scienze” dell’agosto 2014 disse che il frumento era impossibile che si fosse modificato naturalmente, la conclusione di Biglino è che devono essere stati per forza gli ELOHIM ha modificarli geneticamente. Qualcuno però ha avuto lo scrupolo di chiedere all’illustre divulgatore scientifico Dario Bressanini se veramente sosteneva tutto questo. Lui rispose con un secco No! Biglino aveva frainteso, nella sua pubblicazione la parola “impossibile” era tra virgolette, nel senso ironico che è in realtà è possibile una mutazione spontanea di questo tipo. Quindi anche questa volta non gli è andata bene, ha citato una scienziato che è stato lui stesso a negare tutto. Ma i fan sfegatati di Biglino hanno avuto ancora il coraggio di sostenere che Biglino ha ragione e se Dario Bressanini sta ritrattando evidentemente perché è stato minacciato da qualcuno; chissà magari proprio da un teologo. Così Bressanini ha postato un video sul suo canale proprio per risolvere la questione una volta per tutte. Inizia con un tono alquanto irritato contro chi usa il suo nome per far dire quello che non ha mai detto. Quello che afferma Biglino riguardo il suo l’articolo è solo una sua libera interpretazione. Bressanini così spiega scientificamente come dal grano selvatico si è arrivati ai grani moderni senza l’ausilio di nessuna manipolazione da parte di alieni.
Secondo la narrazione ufologica della Bibbia, gli ELOHIM avrebbero creato l’uomo con la loro ingegneria genetica usando l’ovulo di un ominide, (un homo erectus) modificato mediante inserimento di DNA alieno. Come fare però per far credere che questa storia è presente nella Bibbia? Quello che nella narrazione è l’ovulo di un ominide. Biglino lo identifica nella parola AFAR עָפָר (tradotto con polvere) combinata con la parola ADAMAH אֳדָמָה (tradotto con suolo). Questi termini compaiono in Genesi 2,7:
Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo
Riguardo questo versetto Biglino nel libro, “la Bibbia non parla di dio” scrive: Il termine AFAR viene tradotto nella Bibbia con “polvere”; in effetti può avere anche questo significato, ma essenzialmente significa “sostanza terrena” che è situato nell’ADAMAH che significa “terreno”. Da qui la conclusione che l’autore del testo biblico voglia alludere a sue parole a una “sostanza terrestre”, nel senso proveniente dal pianeta terra e questo può andare a coincidere con l’ovulo di ominide. Come prima cosa andiamo a vedere nel dizionario la parola AFAR:
Da come si può vedere nella definizione, la parola AFAR indica una sostanza con determinate caratteristiche: sono tutti elementi inanimati, granulari, presenti in natura come l’argilla o lavorati come l’intonaco. Non si riferisce affatto a una entità generica presente semplicemente nel pianeta terra, nulla di animale o vegetale. Sostenere che si riferisca a un ovulo di ominide è una deformazione del significato consistente che si allontana di molto dal significato reale. Per quanto riguarda la parola ADAMAH: Nel dizionario troviamo una definizione molto lunga, la sintetizziamo in 4 punti: 1) Significato fisico “TERRA”; può essere considerato una sorta di sinonimo di AFAR. 2) Terra nel senso di SUOLO, usato nelle frasi del tipo: Gli animali che camminano nel suolo. 3) un uso in campo agricolo. 4) un uso in campo territoriale. In questo caso il significato che più consono è quello di “suolo”. Nella formula AFAR MIN ADAMAH (POLVERE DAL SUOLO), la parola ADAMAH conferisce una specificità in più alla parola AFAR, indicando che si tratta di una sostanza presente nel suolo terreste in maniera naturale, escludendo di fatto altri elementi come la cenere o l’intonaco. Non si riferisce a un qualcosa proveniente dal pianeta terra come vuol far credere Biglino. Esiste una parola specifica per indicare “la terra” intesa globalmente, traducibile con “mondo”. È la parola TEVEL. Questa si che si potrebbe tradurre come “pianeta terra”. ADAMAH invece non è mai usato per indicare il mondo nel suo insieme.
NOTA.
Per i creazionisti, che hanno una visione letterale della scrittura sostengono che è stata usata l’argilla come materia prima per formare l’uomo facendo notare come gli elementi chimici base che compongono l’argilla sono gli stessi che compongono le nostre proteine. Una visione che può sembrare bizzarra. Quello che non gli si può dar torto è il procedimento al contrario: Se seppelliamo un cadavere nella terra, il processo di putrefazione fa in modo che i componenti chimici del corpo vengano riassorbiti nella terra lasciando solamente lo scheletro, come sta scritto polvere sei e polvere ritornerai (Genesi 3,19). Così anche ADAM, אָדָם uomo in ebraico deriva da ADAMAH אֳדָמָה perché dalla polvere l’uomo è stato tratto. Non è un caso che in ebraico il colore rosso si dice ADAMDAM אֳדַמְדַּם e sangue si dice DAM דָּם.
LA PAROLA: TSELEM צֶלֶם
Dopo che Biglino ha spiegato la componente terreste usato dagli ELOHIM per creare l’uomo, arriva il momento di parlare del componete alieno proveniente direttamente da “quelli là”. La paleastronautica lo identifica con il termine TSELEM. Nelle traduzioni lo troviamo comunemente con “immagine” Questo termine appare la prima volta in Genesi 1,26:
Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza.
In questo versetto compare nella parola composta BETSALMENU בְּצַלְמֵנוּ, il quale si scompone in:
SINTASSI
PRONUNCIA
TRADUZIONE
בְּ
BE
A
צֶלֶם
TSELEM
IMMAGINE
ֵנוּ
ENU
NOSTRA
Mauro Biglino riguardo il termine TSELEM, nel libro “la Bibbia non parla di Dio”, scrive: Nella Genesi rilevo che il termine TSELEM viene sempre tradotto con “immagine”: Un vocabolo che nella nostra cultura e nelle lingue moderne indica per lo più un concetto ideale, una rappresentazione mentale, in espressione simbolica … La radice consonantica ebraica ha un valore diverso. Non rimanda a quella valenza astratta di somiglianza rappresentata dalla letteratura religiosa. In ebraico infatti lo TSELEM, identifica un quid di materiale che contiene l’immagine, inoltre racchiude, nel significato originale della radice semantica il concetto di “tagliato fuori da”. Questo è quello che risulta nel dizionario di ebraico biblico Brown Driver Briggs (BDB). Biglino contesta anche la traduzione della preposizione inseparabile “BE” che nelle Bibbie è tradotto con la nostra preposizione italiana “A” quando invece significa: con, per mezzo di, in, dentro. La conclusione è che questo TLELEM è una porzione di DNA alieno che è stato tagliato e combinato con il componete terreste AFAR. Per questo l’uomo è stato creato “per mezzo di” (BE) lo TSELEM.
Andiamo per ordine: Partiamo con la preposizione inseparabile BE e cerchiamo la definizione nel dizionario:
Dal dizionario risultano i significati che dà Biglino ma compare anche la preposizione “A” esattamente come nelle traduzioni nella Bibbia, dimostrando che non è sbagliato tradurre con “A”. Questo è uno dei casi in cui pensa di saperne di più dei traduttori professionisti e qualificati.
Per quanto riguarda invece il termine TSELEM ci sarebbe da dire che il dizionario di cui Biglino fa riferimento è ormai completamente obsoleto, (ha più di 100 anni), ma pur di trovare qualche contenuto manipolabile non si fa questi problemi. È possibile consultare questo dizionario online, alla voce TSELEM troviamo questo:
Vediamo che il significato principale è ”immagine”, troviamo solo tra parentesi la nota: “something cut out” da qui deriva il suo “tagliare fuori da”. Biglino decontestualizza una porzione di una nota tra parentesi dal suo contesto originale, facendola assurgere a significato principale del termine. In poche parole, dalla nota tra parentesi prende solo quello che gli interessa ed la eleva ad effettivo significato di TSELEM, ignorando il contesto di tutto ciò che segue. Questa nota è in realtà inserita in un contesto del tutto differente da quello da lui sostenuto. Osservando ciò che dice il BDB, si nota subito che “something cut out” non ricopre per nulla il ruolo di significato principale di TSELEM, ma solo una precisazione legata ad semplice nota posta tra parentesi. Il significato principale di TSELEM resta quello di “image”, ovvero immagine. La nota tra parentesi si riferisce semplicemente all’altro significato, ovvero a quello di statua, come vedremo in seguito. A riprova di ciò, il BDB cita persino Ezechiele 16,17 il cui passo parla esplicitamente di immagini fatte con oro, argento e gioielli, in pratica feticci pagani, immagini di statue. Quindi niente a che vedere con “qualcosa di ritagliato”. La seconda nota tra parentesi che Biglino ignora completamente svela il senso di “something cut out”. In tedesco, “Schnitzbild” significa “scolpito”. Sostanzialmente in questa nota si afferma che il significato di “immagine” può anche essere inteso in riferimento a qualcosa di scolpito o intagliato, dunque ad una statua. In pratica, la nota è da intendersi come qualcosa di ricavato da un intaglio (scultura), da compararsi con MESEL ( מֶּסֶל ) che Theodor Nöldeke traduce con Schnitzbild. In sostanza, se caliamo “something cut out” nel contesto originale della nota tra parentesi cui appartiene, si scopre che esso ha significato e giustificazione solo se comparato al termine tedesco Schnitzbild di paternità dell’orientalista del XIX secolo Theodor Nöldeke (abbreviato con “Nö” nella nota del BDB). Nessuna relazione emerge dunque con il “qualcosa di ritagliato” tanto caro a Biglino.
Andiamo a vedere nel dizionario usato dal sottoscritto e realizzato sotto i più moderni criteri linguistici:
Vediamo infatti con il termine indichi tutto ciò che ha a che fare con immagini e statue scolpite e niente a che vedere con “qualcosa di ritagliato”. Inoltre vediamo che oltre al significato fisico è presente un significato figurato che proprio in Genesi 1,26-27 indica l’uomo come immagine di Dio. Quindi la visione teologica della Bibbia è perfettamente coerente con il grammatica del testo. Non poteva anche mancare il parere dell’ebraista laico Cuscito riguarda la traduzione di TSELEM che da Biglino: Se il termine TSELEM fosse ricondotto a qualcosa di microscopico e a doppia elica allora poteva essere fattibile identificarlo con il DNA, ma nel testo biblico sono completamente assenti delle descrizioni che possono indurre a interpretare TSELEM con “parte di DNA”. Vediamo infine la parola TSELEM corrispondente con le altre lingue semitiche sviluppati in contemporanea o più antiche dell’ebraico biblico:
LINGUA
TERMINE
TRADUZIONE
Accadico
şalmu
statua, rilievo, disegno, immagine
Ugaritico
şlm
immagine, statua
Fenicio
şlm
statua
Punico
şlm
disegno, immagine, somiglianza, piano.
Siriaco
şalmö
immagine, statua
CONCLUSIONE:
Come sarebbe potuto essere il testo ebraico se fosse stato compatibile con la narrazione ufologica per quanto riguarda la creazione dell’uomo. In primo luogo l’autore avrebbe scritto almeno un versetto per descrivere il personaggio che i fan della paleastronautica chiamano “l’ominide”, attribuendone una natura vivente e preesistente nel pianeta terra e magari anche dotato di un intelligenza superiore rispetto agli altri animali, aggiungendo la particolarità di essere bipedi. Addirittura in ebraico esiste anche la parola “scimmia” traducibile con QOF קוׄף , la presenza di questa parola sarebbe stata quasi d’obbligo ricalcando la similitudine di questo animale. Una descrizione decisamente lontana dal termine AFAR. Il secondo elemento, il DNA alieno, se volessimo mantenere il concetto di “qualcosa di ritagliato” tanto caro a Biglino e considerando che il termine “ritagliare” in ebraico biblico non esiste, l’autore avrebbe dovuto usare dei termini che maggiormente si avvicinavano a questo concetto, per esempio “qualcosa di diviso” oppure “qualcosa di spezzato” o semplicemente modificato appartenente agli ELOHIM. In questa tabella troviamo questi tre esempi:
TERMINE
PRONUNCIA
TRADUZIONE
חִבְדּיל
HIVDIL
Qualcosa di diviso
שָׁבַר
SHAVAR
Qualcosa di spezzato
הָפַךְ
HAFAK
Trasformato, mutato
Certamente non il termine TSELEM, lontanissimo da questo concetto. In conclusione avrebbe dovuto esserci una spiegazione dove la creazione dell’uomo era dovuto a “una parte” di un ominide e “qualcosa di diviso, spezzato o modificato” appartenente agli ELOHIM.
Uno dei maggiori cavalli di battaglia dei “liberi pensatori” è che nella Bibbia non si parla di creazione dal nulla come viene inteso negli ambienti teologici. La parola ”BARA” che compare nella Bibbia tradotta con “creare”, non dovrebbe affatto essere intesa in senso teologico, come una creazione soprannaturale, dal nulla. Secondo gli studi di Biglino andrebbe considerata in modo molto più razionale, come un modificare una realtà preesistente. Nel libro “non c’è creazione nella Bibbia” Biglino scrive: Gli utilizzi (della parola BARA) rimandano invariabilmente ad atti compiuti su una situazione preesistente sulla quale il soggetto specie YHWH interviene producendo modifiche, variazioni, rimodellamenti, con finalità che di volta in volta vengono dichiarate esplicitamente: tagliare alberi, rendere abitabile un territorio, punire, compiere prodigi, agire sul pensiero e sui comportamenti ecc.. Comunque mai creare dal nulla. Quindi secondo questo studio, con tanto di citazione di diversi versetti con lo scopo di indicare al lettore che il verbo BARA non significa mai creazione dal nulla. Si può concludere che le traduzioni riportate nelle nostre Bibbie e le elaborazioni esegetiche che ne derivano sono solamente frutto di una scelta condizionata dai dogmi religiosi. Non esistendo in ebraico una parola che indica la creazione dal nulla si può concludere che la Bibbia non parla di creazione nel senso che le correnti religiose hanno dato. Come prima cosa andiamo a consultare il dizionario alla parola BARA בָּרָא:
Troviamo che la radice BR di cui la parola BARA fa parte è una radice particolarmente complessa e usata per indicare molti termini, sia azioni che sostantivi. Proseguendo andiamo a vedere in dettaglio la parola BARA
In base ai dati che troviamo nel dizionario possiamo estrapolare queste informazioni:
Nei possibili significati sono presenti dei vocaboli che richiamano una creazione da materiale preesistente, questo non esclude che ci sia anche una creazione dal nulla tra i possibili significati e questo è determinato non dalla grammatica del termine ma bensì dal contesto. Per creazione dal nulla si intende che Dio ha creato i cieli, la terra, gli animali e l’uomo; nel contesto la parola BARA deve riferirsi a uno o più di questi soggetti.
In alto a sinistra troviamo al lettera << Q >>. Questa lettera sta per QAL. Si tratta di una delle forme verbali presenti nella grammatica ebraica e corrisponde a una azione definita “attiva semplice” I verbi nella forma QAL si distinguono perché nelle prime due consonanti della radice compare la vocale Qamez che corrisponde alla nostra “A” per questo motivo che la versione QAL della radice BR è BARA. Questa informazione è importante perché il contestato significato della “creazione dal nulla” è subordinata dal fatto che BARA rimanga nella forma di base QAL. Quindi se non ha la forma QAL e il soggetto che compie l’azione non è Dio stesso, sicuramente non può indicare una creazione dal nulla.
Il verbo ASAH עָשָׂח significa semplicemente “fare” in senso generico, tuttavia può essere considerato a tutti gli effetti un sinonimo di BARA, se si trova nel contesto giusto, perciò anch’essi può assumere il significato di “creazione dal nulla”.
Vediamo alcuni esempi dove la parola BARA o il suo sinonimo ASAH sono presenti in un contesto dove prendono il significato di “creazione dal nulla”.
Isaia 45,18
Poiché così dice il Signore, che ha creato i cieli, egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l’ha resa stabile, non l’ha creata vuota, ma l’ha plasmata perché fosse abitata.
Salmo 146,6
Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe: la sua speranza è nel Signore suo Dio, che ha fatto il cielo e la terra, il mare e quanto contiene.
Isaia 37,16.
Signore degli eserciti, Dio d’Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra.
Neemia 9,6
Tu, tu solo sei il Signore, tu hai fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutto il loro esercito, la terra e quanto sta su di essa, i mari e quanto è in essi; tu fai vivere tutte queste cose e l’esercito dei cieli ti adora.
Esodo 20,11
Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno
Genesi 1,1
Al principio Dio creòi cieli e la terra
Malachia 2,10
Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio
In questi 6 versetti è inequivocabile il chiaro riferimento a una creazione dal nulla. Infatti questi versetti non compaiono nei libri di Biglino a eccezione di Genesi 1,1 di cui scrive: Questo versetto si riferisce ad un ideale non meglio identificato e non rappresentabile atto di creazione, oppure un opera di… Il discorso finisce così, con i puntini. Questo versetto mette in crisi il metodo Biglino dove ritiene che tutto va preso alla lettera senza metafore o allegorie. Quindi per spiegare questo versetto non può fare altro che arrampicarsi sui vetri. Riassumendo: il termina BARA assume il significato di creare dal nulla quando si trova nella forma QAL e inserito nel giusto contesto. Bisogna tenere a mente questi due requisiti perché Biglino nel suo libro mostra numerosi esempi per dimostrare che il termine BARA non significa mai “creazione dal nulla”. Analizzando questi esempi si può notare come abbia scelto dei versetti che non soddisfano i requisiti citati in precedenza. Andiamo ora ad approfondire questi esempi che si possono dividere in due gruppi: Quelli che non sono nella forma QAL e quelli che sono fuori contesto.
PRIMO GRUPPO: LA RADICE BR NON IN FORMA QAL
Nell grammatica ebraica sono presenti 7 forme verbali: Il QAL, la forma base definita semplice attiva; NIFAL semplice passiva; PIEL intensiva attiva; PUAL intensiva passiva; HIFIL causativa attiva; HOFAL causativa passiva; HITPAEL riflessiva. Ogni forma verbale ha la sua peculiarità e il significato di un termine in QAL può risultare profondamente diverso rispetto alle altre forme verbali. Tenendo presente questo è inevitabile che il termine BARA nelle altre forme non può assumere il significato di “creazione dal nulla”. Biglino nei sui esempi inserisce 6 versetti che hanno forme diverse, andando sul sicuro di centrare l’obbiettivo: Avvalorare la sua tesi. Qui sotto la tabella con i versetti citati, il termine che compare, la forma verbale e il significato.
Chi non è a conoscenza delle più basilari regole grammaticali della lingua ebraica o non ha a disposizione un dizionario, davanti a questi esempi può rimanere persuaso a sostenere la tesi di Biglino.
SECONDO GRUPPO: IL VERBO BARA FUORI CONTESTO
Qui sotto la tabella di altri esempi dove nei versetti sono presenti BARA in forma QAL in diversi tempi verbali, ma inseriti in contesti dove non risulta una creazione dal nulla. Questo è un altro tentativo per ingannare il possibile lettore e fa avvalorare la sua tesi.
In questo passo il Signore si affligge per l’idolatria del suo popolo e li ammonisce, ma allo stesso tempo li ama ed è disposto a sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni e a offrire la pace. La frase: i pongo labbra letteralmente è “io creo labbra”, nel senso di linguaggio.
Questo versetto è una dossologia, una lode al Signore, con i toni dell’inno o del cantico. Anche se non è presente una creazione dal nulla si usano espressioni che solo a un Dio onnipotente si possono riferire, dal generare i venti a plasmare le montagne.
In questo caso è tradotto come “prodigio” o si potrebbe dire che compie una “creazione” nel senso di generare un evento impossibile per l’uomo, come i questo caso spalancare e richiudere la terra.
Questo è sicuramente uno dei versetti biblici con una alta carica di spiritualità. Paradossalmente è citato da Biglino, proprio lui che ritiene che la Bibbia non parla affatto di spiritualità e si limita a dire solamente che non c’è creazione dal nulla. La seconda parte del versetto: …rinnova in me uno spirito saldo, non viene citato. Troppo scomodo in quando è presente la parola RUACH che si può tradurre solo con spirito ed è meglio che i suoi lettori non lo sappiano.
Oltre alle speculazioni del verbo BARA si può trovare la creazione dal nulla anche in altri modi come nel terzo versetto della genesi: Dio disse: <<Sia luce!>> E la luce fu. In questo caso è sufficiente la sola parola che la luce viene creata e questo è un altro caso di creazione dal nulla. Oppure anche il Salmo 89,12: Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene. Dire che visto che non esiste un verbo che per indicare solamente una creazione dal nulla, allora la Bibbia non parla di creazione è una conclusione banale e superficiale. In ebraico non esiste nemmeno il verbo “avere”, questo non significa che in ebraico non si possa esprimere il concetto di avere; lo si può fare attraverso altre strutture grammaticali. La stessa cosa vale per il verbo BARA.
Per gli appassionati della teoria del dio alieno non può certo mancare un elemento di vitale importanza: Il cosiddetto pianeta Nibiru. Si tratta di un pianeta che orbita attorno al nostro sole a una distanza molto elevata, ma ogni 3600 anni si avvicina molto alla terra passando precisamente tra Marte e Giove. Da questo pianeta arriverebbero i famosi ELOHIM, dall’aspetto molto simili a noi umani. Il suo passaggio ravvicinato provoca degli sconvolgimenti anche sulla terra, ed è stata uno di questi passaggi che ha provocato il diluvio universale. Non c’è bisogno di fare studi approfonditi per comprendere è tratta di una bufala colossale e infatti nessun scienziato si sognerebbe di appoggiare questa teoria. Vediamo però in maniera più sintetica possibili, i motivi principale della sua impossibile esistenza:
Secondo un simulatore astronomico (AstroGrav) dove sono stati inseriti tutti i dati provenienti dai libri dei “liberi pensatori”, un passaggio tra Marte e Giove altererebbe le orbite degli altri pianeti in maniera irreversibile e non sarebbero assolutamente nelle posizioni attuali, così anche la fascia di asteroidi dovrebbe essere molto diversa in quanto la prima a subire sconvolgimenti.
Un pianeta così lontano dal sole avrebbe temperature che la vita sarebbe impossibile; e non basta che il nucleo si auto riscaldi come viene di solito ipotizzato; questo aumenterebbe la temperatura superficiale di pochi gradi, per la vita è necessaria la luce solare.
Sarebbe un pianeta facilmente visibile con il telescopio. Se per assurdo è così lontano da non poter essere visto, in antichità, nel precedente passaggio l’umanità avrebbe avuto gli appassionati del settore che avrebbero scritto e segnalato la presenta di questo pianeta. Non ci sono fonti storiche a riguardo.
Non invidiare l’uomo violento e non irritarti per i suoi successi, perché il Signore ha in orrore il perverso, mente la sua amicizia è per i giusti (PR 3,31-32)
Un cuore tranquillo è vita del corpo, l’invidia è la carie delle ossa (PR 14,30)
Non invidiare in cuor tuo i peccatori, ma resta sempre nel timore del Signore (PR 23,17)
L’invidia è identificata come uno dei frutti della carne. Il credente deve rifiutarla nel suo cuore affinché non pecchi davanti a Dio. Ora, vediamo i motivi e le conseguenze che provoca l’invidia. Le persone non credenti possono essere più predisposte a questo “vizio capitale”, che ha origine dal desiderio di possedere qualcosa che un’altra persona ha, essendo consapevoli di avere poche o nessuna possibilità di ottenerla. Per questo già in esodo Dio disse a Mosè: Non desidererai la casa del tuo prossimo.Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo (Esodo 20,17). Il desiderio dunque sta all’origine dell’invidia insieme anche alla superbia che rende l’uomo competitivo nei confronti del prossimo. Un esempio potrebbe essere una persona ha un amico o conoscente che ha sempre reputato più brutto e meno simpatico di lui, si fidanza con una ragazza bellissima, questo provoca certamente l’invidia. Da qui i commenti del tipo << che spreco, una ragazza così bella con uno così >>; tipica espressione generata dall’invidia. Oppure un’altra persona che ha un compagno di banco che ha sempre reputato meno intelligente, trova un lavoro più remunerativo del suo, anche in questo caso può scattare l’invidia con commenti del tipo << Ecco, chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane >> , per dire che era lui che si sarebbe meritato quel posto. Sono i successi degli altri che portano le persone ad essere invidiose e questo ne parla anche Qoèlet: Ho osservato anche che ogni fatica e ogni successo ottenuto non sono che invidia dell’uno verso l’altro. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento. (Qoèlet 4,4). Quando una persona prova invidia verso un’altra, quest’ultima si trasforma in odio che sfocia in liti, contese e maldicenze e in casi estremi può portare ad azioni deplorevoli. Nell’antico testamento abbiamo l’esempio di Giuseppe, figlio più piccolo e più amato di Giacobbe e per questo era privilegiato rispetto agli altri 11 fratelli. Essi iniziarono a provare una grande invidia nei suoi confronti tanto da sbarazzarsene. Lo vendettero come schiavo a una carovana di ismaeliti che stava andando in Egitto e al padre Giacobbe dissero che era rimasto sbranato da un bestia. Nel nuovo testamento abbiamo invece Gesù invidiato dai farisei. Molte persone ascoltavano i suoi insegnamenti attirati anche dai miracoli che compiva e per questo i farisei avevano paura di perdere quel potere e quella reputazione che godevano tra il popolo approfittandosene di questo per fare i propri comodi; e come se non bastasse con i farisei ci andava giù pesante, alla folla ribadiva spesso il fatto erano degli ipocriti perché facevano di tutto per mostrarsi buoni in apparenza, ma dietro divoravano le case delle vedove. Persino Ponzio Pilato se ne accorse essendo un governatore di una certa esperienza, si può leggere in Matteo 27,18. A causa di questa invidia i farisei arrestarono Gesù per farlo morire. L’invidia oltre ad essere portatrice di odio è un sentimento che ti lacera l’anima e il corpo, non ti fa vivere in pace e in armonia e a lungo andare può portare a qualche disturbo della personalità. Chi è credente e ricco di sapienza sa che non c’è motivo di invidiare qualcuno, chiunque esso sia. Se si tratta di una persona empia che ha avuto un certo successo nella vita, diventando ricco e famoso, magari servendosi di affari loschi, il giusto non ha nessun motivo di invidiarlo perché sa che tutto quello che ha ottenuto passando dal male e non da Dio, gli sarà tolto prima o poi e la rovina sarà grande; dovrà pagare a caro prezzo il male che ha commesso perché il salario del peccato è la morte (Romani 6,23). Se il Signore permette che i malvagi prosperino è solo perché lui è lento all’ira e grande in amore (Giona 4,2); ma alla fine anche il malvagio avrà quello che merita se non avviene un ravvedimento. Non importa quante cose materiali possiede o quanto successo ha tra gli uomini, se non è in comunione con Dio tutte queste cose prima o poi spariranno. Un altro caso in cui si può provare invidia è quando abbiamo una certa passione, come il canto o lo sport e ci reputiamo bravi nel nostro campo, ma un giorno incontriamo qualcuno che è più bravo di noi. Se siamo abituati a ricevere sempre la gloria degli uomini e la passione è alimentata da quello allora l’invidia sarà inevitabile. Se noi invece facciamo tutto alla gloria di Dio, anche se incontriamo qualcuno più bravo di noi non sarà motivo di gelosia o contesa perché è solamente qualcuno che ha ricevuto un dono maggiore del nostro, tutto qui, nulla impedisce nemmeno di essere amico con quella persona. Esiste anche la gelosia possessiva: una cosa che la reputiamo nostra, non siamo disposti a prestarla agli altri. Non è saggio essere gelosi dei propri oggetti; è giusto poter prestare o condividere quando è possibile. Tutto quello che possediamo in realtà è di Dio, spetta noi amministrare quel bene che ci ha affidato secondo la sua parola. Purtroppo anche tra i credenti ci possono essere dei casi di invidia. Questi sono i casi dove i credenti non hanno ancora rinnovato la propria mente per renderla conforme a Cristo. Se un nostro amico sempre credente riceve una grande benedizione ed è la stessa benedizione di cui continuiamo a pregare da tempo e non la otteniamo, questo potrebbe essere un motivo d’invidia. In questo caso essendo credenti l’invidia non si trasforma in odio, ma può diventare risentimento verso Dio per il fatto ha benedetto lui invece che me, oppure si potrebbe rifiutare di pregare per lui, del tipo: << A me sembra che è già stato abbastanza benedetto! >>. Non bisogna essere invidiosi di un altro credente perché tutti i credenti fanno parte del corpo di Cristo, la Chiesa. Infatti noi tutti siamo battezzati mediante un solo spirito in un solo corpo (1Corinzi 12,13) Il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra (14). Ogni credente è un membro di un corpo. La si potrebbe paragonare a una grande famiglia dove tutti si amano e tutti solo fratelli e se un membro soffre, soffrono tutti, così anche se un membro viene benedetto, tutti gioiscono per lui. Quindi se un credente riceve quella benedizione che tanto desideravi tu, come potrebbe essere trovare una fidanzata o un buon lavoro non bisogna invidiarlo, ma gioire insieme a lui e pregare affinché come questo fratello è stato benedetto possa arrivare il giorno che anche tu possa essere benedetto allo stesso modo.
Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli da bere, perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e il Signore ti ricompenserà (PR 25,21-22)
Non dire: << Come ha fatto a me così io farò a lui, renderò a ciascuno come si merita >>. (PR 24,29)
Non ti rallegrare per la caduta del tuo nemico e non gioisca il tuo cuore, quando egli soccombe (PR 24,17)
Non ci sarà un avvenire per il cattivo e la lampada dei malvagi si spegnerà (PR 24,20)
Se il Signore si compiace della condotta di un uomo, lo riconcilia anche con i suoi nemici (PR 16,7)
Non dire: <<Renderò male per male>>; confida nel Signore ed egli ti libererà. (PR 20,22)
Il nemico è colui che per un motivo o l’altro prova odio nei tuoi confronti e lo manifesta con l’attacco verbale o la diffamazione, nei casi più estremi anche con la violenza fisica. Esso non è da confondere con il semplice provocatore, perché non è detto che chi ti provoca provi veramente odio nei tuoi confronti. Ora, chi compie opere malvagie può essere naturale creare attorno a lui delle persone che lo odiano, ma chi crede nel Signore e compie opere buone perché dovrebbe avere dei nemici? Purtroppo ci sono dei casi dove nonostante non fai del male a nessuno ci può essere qualcuno che prova odio nei tuoi confronti, forse è proprio per il fatto che sei cristiano che qualcuno ti può odiare oppure può essere per invidia o per un contenzioso. Nel Vangelo Gesù è chiaro riguardo il comportamento che deve avere un credente davanti ai nemici: Bisogna amare il proprio nemico, pregare per lui, e non negargli dei favori, poi aggiunge dicendo: se amate solo chi vi ama che merito ne avrete, infatti anche chi non conosce Dio fa lo stesso (Matteo 6,46), quindi non farete niente di più di quanto fa una persona atea. Infatti, anche gli atei amano chi gli ama, questo non è difficile, c’è anche da dire che qualcuno non riesce nemmeno fare questo, ma normalmente finché c’è da amare una persona che ti è simpatica non c’è nessun problema, è quando ci è antipatica che siamo portati a odiare la persona, con tutti i comportamenti che ne derivano. La parola di Dio dice invece che anche i nemici bisogna amare. Ma come si fa? È troppo difficile? Quando qualcuno ci fa del male, odiare è la cosa più naturale, fargliela pagare con la stessa moneta e vendicarsi, quello è il comportamento che siamo portati a fare. Odiarlo però non porta mai benefici, s’inizia solo una guerra di odio e litigi dove ognuno fa a gara a chi infigge più del male all’altro, finché uno da un colpo così secco all’altra persona che non oserà più far niente per un certo tempo, ma il clima di odio rimarrà sempre. Quindi odiare anche se è la cosa più istintiva, non porta a nessun beneficio, anzi, l’odio porta altro odio, ma non lasciarti vincere dal male; vinci il male con il bene (Romani 12,21). Valutare prima qual è l’origine di quel odio che porta con se il tuo nemico, pregare per lui affinché ci sia pace. Prima di tutto come ho già detto se qualcuno ti ha fatto del male, è stato satana in realtà ad averlo fatto, usando quella persona come schiavetto per compierla, quindi bisogna combattere satana non la persona che ha commesso il male, perché anche lui è una vittima dal punto di vista biblico. Infatti per il credente il nemico è il diavolo che è come un leone ruggente va in giro cercando di divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo (Pietro 5,8-9). Quindi agire con metodi carnali non serve per sconfiggere satana, quello che bisogna fare prima di tutto è perdonare quella persona, poi pregare per essa e benedirla, parlare sempre con dolcezza e mansuetudine e se ha bisogno di qualche aiuto non rifiutarlo. Questo è l’atteggiamento giusto da fare; non è un segno di debolezza, anzi è un segno di fortezza in realtà, in questo modo non ti fai piegare dalle provocazioni, e non ti fai manipolare delle sue azioni; è un segno di forte autocontrollo. È vero che può sembrare molto difficile farlo, è molto più istintivo attaccarlo con fa lui; bisogna però fidarsi di Dio e non sempre del nostro discernimento e scoprirai che facendo queste cose si creerà un’atmosfera spirituale, dove Dio può agire su quella persona e avrà modo di portarlo al ravvedimento. Non può fare nulla però senza la nostra collaborazione perché finché si rimane in territorio di satana, spiritualmente parlando, può agire solo satana, ma se crei il contesto giusto allora sarà Dio ad agire e il diavolo non potrà fare nulla. Inizierà quindi a pensare: Beh; io sto facendo del male a quella persona ma lui mi fa del bene, forse non se lo meritava il male che gli ho fatto. Inizierà ad avere un ripensamento e cambiare atteggiamento nei tuoi confronti, e da nemico avrai in realtà guadagnato un amico, è qui che il diavolo sarà sconfitto, e se diventando amici si converte sarà stato sconfitto doppiamente, e ogni volta che lo sconfiggerai, sarai sempre più forte nei suoi confronti. Ogni bene che farai, soprattutto a un nemico riceverai sempre una ricompensa in cielo; nei momenti opportuni non bisogna neanche mancare di rimproverarlo con decisione e fargli capire che a compiere il male non ci guadagnerà niente e gli obiettivi che insegue non gli porterà alla felicità, anzi odiare contribuirà solo a rovinare se stesso. Bisogna amare i nemici, ma anche l’amore ha un lato duro, potrebbe anche essere opportuno dire: <<Non ti permetto più di trattarmi in questo modo>>; perché quella persona facendo male a te, sta facendo anche male a se stessa e impedire che si faccia male da sola è segno di amore. È sempre opportuno suggerire la via alternativa a quella sbagliata, ovvero una relazione con Dio che porta di conseguenza avere un buon rapporto con il prossimo. Se nonostante tutto non si pentirà e continuerà nella sua condotta sbagliata, allora avrà fatto la sua scelta e ne pagherà le conseguenze; ma in ogni caso non fargli alcun male, non farti giustizia da solo, ma lascia che sia Dio a giudicare quella persona nel momento opportuno. Infatti sta scritto: Spetta a me fare giustizia, darò a ciascuno il suo (Deuteronomio 32,35). Non lasciare che il tuo cuore nutri dei sentimenti di vendetta; segui l’esempio di Cristo che durante la passione ha subito ogni sorta di sofferenza e derisione, ma Lui anche se era Insultato, non rispondeva agli insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica congiustizia. (1Pietro 2,23). Se poi cade in disgrazia non rallegrarti, anzi prega per lui perché da questa esperienza negativa il Signore ne tragga qualcosa di buono, e arrivi al ravvedimento; come nella parabola del figliol prodigo (Luca 15,11-32) che deve arrivare a toccare il fondo prima di capire che la vita che stava conducendo era sbagliata e addirittura i servi di suo padre stavano meglio di lui. Per chi ci si ravvede la porta di Dio, è sempre aperta e lo accoglierà con gioia, così anche per i credenti che in passato hanno fatto del male, ma si sono convertiti è importante non portare rancori e andare avanti. Chi invece muore nel peccato senza essersi mai ravveduto e accettato Cristo nel suo cuore è un’anima che va all’inferno e anche in questo caso non c’è nulla da rallegrarsi. Infatti come Dio piange per il fallimento dell’uomo, così anche noi non dobbiamo rallegrarci se il nostro nemico va all’inferno.
Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta c’è l’arroganza (PR 16,18)
L’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione, l’umile di cuore ottiene onori. (PR 29,23)
Dopo aver in chiaro cosa sia la superbia, facciamo un’ulteriore approfondimento su un frutto della superbia che è l’arroganza. Essa è figlia di una cultura che non vive secondo la parola di Dio, sono le persone che pensano di essere superiori e di saper gestire determinate situazioni meglio di altre, come può essere gestire un negozio o qualsiasi attività commerciale, queste persone si fanno beffe degli altri, si vantano e pensano che se decidessero tutto loro allora le cose andrebbero bene. Un giorno però è possibile che abbiano veramente la possibilità di gestire una situazione autonomamente e senza vincoli e qui che saranno messi alla prova le loro presunte qualità, ma aimè non sempre sono così bravi come pensavano e un volta che prendono il controllo, la situazione precipita e arriva il fallimento. Avranno quindi una vergogna che peserà come un macinio perché tutti si ricorderanno del loro orgoglio e del loro tono di superiorità, la loro totale mancanza di umiltà e il non confidare in Dio ma soltanto in se stesse, la rovina per loro sarà grande. Chi trova una persona di quel tipo non vale neanche la pena arrabbiarsi, bisogna solo compatirlo perché c’è la possibilità che un giorno dovrà smentire tutto quello che dirà, magari avrà talmente orgoglio da scaricare la colpa su altri e non assumersi le proprie responsabilità. Gesù disse: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Matteo 5,3). I poveri in spirito sono le persone umili che sanno di non essere superiori agli altri e che valgono per il fatto che sono figli di Dio e non perché pensano di avere qualità straordinarie che gli altri non hanno. Già agli arbori del cristianesimo in alcune persone c’era questa tentazione di credersi superiori agli altri, per questo donde evitarlo Paolo in una sua epistola suggerisce questo: Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.(Filippesi 2,3-4). Abbiate quindi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù. Quello di essere pronti a mettere da parte quello che siete, per diventare servi degli altri. Non stimando te stesso più di quanto dovresti, ma considerandoti privilegiato ad essere un servo di Gesù Cristo. Umiliatevi davanti al Signore, ed Egli vi innalzerà (Giacomo 4,10). La persona che teme il Signore e si trova ad affrontare una certa situazione, non deve avere paura, anche se pensa di non riuscire ad affrontarla, con Dio nel cuore, se ti trovi in certe situazioni è possibile che è stato Dio a metterti in quella situazione per compiere una missione e se preghi, e confidi in Lui, tutto quello che farai andrà bene. Tenere sempre in mente la parola di Dio e continuare a cercare la sapienza, solo così si potrà affrontare ogni situazione.